“L’ebbrezza della volata finale”, ultimo appuntamento con lo spettacolo tenutosi dal 4 al 6 aprile 2025 nel teatro di Villa Lazzaroni, è uno spettacolo ideato e diretto da Gianni Aureli.
Sotto il torrido sole di un’estate del 1999, in quel di Miami Beach, si muove il detective squattrinato Chuk Malone, dalle molteplici dipendenze, dai numerosi debiti e con il cuore spezzato da un amore infranto. Un’interpretazione che, grazie al carisma dell’attore protagonista, riesce a dare spessore e credibilità a un personaggio che sembra intrappolato in un’esistenza al limite, segnato dalla disillusione e dalla fragilità. La sua recitazione, fatta di silenzi e gesti nervosi, sottolinea bene il tormento interiore del detective, mentre le sue battute, spesso caustiche, ne mettono in risalto l’ironia amara. La scenografia è impeccabile nel rendere l’atmosfera calda e claustrofobica della Miami di fine secolo. Il palco, con le sue luci arancioni che evocano il sole infuocato, e gli arredi minimalisti tipici di un ufficio da detective in declino, riesce a immergere il pubblico in un contesto che, pur essendo virtuale, sembra tanto reale quanto fatiscente.
Un giorno, nel suo ufficio, riceve una telefonata da parte di un fantomatico produttore televisivo dalle origini latine, il quale gli commissiona la ricerca di una “fenice rossa”. Dopo qualche minuto riceve una seconda telefonata: dall’altra parte del telefono risuona la voce calda e suadente di un’avvenente donna, che vuole affidargli un altro incarico e chiede un appuntamento. La scenografia si arricchisce in questo passaggio di luci soffuse e cambiamenti rapidi degli spazi, creando una tensione palpabile che suggerisce l’entrata in scena di un nuovo mistero. La recitazione della donna, interpretata con fascino e ambiguità, riesce a rivelare non solo la seduzione, ma anche la pericolosità di un personaggio che, pur nella sua bellezza, è una manifestazione di una realtà che si nasconde dietro un’apparenza affascinante.
Lo squinternato detective rimane sorpreso dall’arrivo di questi nuovi lavori, e ritrova la grinta di un tempo: “l’infallibile detective che cade sempre dritto”. In questo passaggio, l’attore si distingue per la sua capacità di passare dalla disperazione all’energia di un uomo che si riappropria del suo ruolo, seppur in modo goffo. I costumi, che rappresentano la sua trascuratezza e il suo disordine interiore, sono un elemento fondamentale per sottolineare la sua evoluzione. La giacca sgualcita, la cravatta allentata e le scarpe consunte sono il perfetto riflesso del suo stato d’animo e della sua situazione economica precaria.
Da qui iniziano a susseguirsi innumerevoli e rocambolesche vicende, che portano lo sprovveduto detective, accecato dalle ricompense, a destreggiarsi tra residenze, caffè letterari e i bar più malfamati di Miami Beach. L’uso della scenografia in queste sequenze è essenziale nel passaggio da un luogo all’altro: i cambi di scena sono rapidi, accompagnati da effetti sonori che creano un senso di frenesia. I costumi dei vari personaggi che appaiono sul palco, tra cui l’affascinante “La Morte”, e le luci che si alternano tra calde e fredde, accentuano l’instabilità del mondo in cui il detective si muove.
L’avvenente donna, detta anche “La Morte”, richiede che venga ritrovato un certo Charles Bukowski. Il fil rouge dell’intera narrazione è rappresentato dalla figura del ricco produttore succitato, Mikel Garcia, poiché – dopo il susseguirsi di ulteriori casi, tra cui la richiesta da parte di un uomo molto facoltoso di Miami di incastrare la moglie fedifraga, e le richieste d’aiuto di un mafioso ricercato dall’FBI – con un incredibile colpo di scena che avviene nell’ufficio del detective, si scopre che tutti questi casi sono orchestrati da un unico esecutore: un uomo annebbiato dal suo ego e in cerca di vendetta nei confronti di Chuk Malone, ritenuto colpevole del presunto omicidio della moglie Jenni. La recitazione del personaggio di Mikel Garcia è intensa, ma anche tragicomica, poiché la sua rabbia e il suo ego sono resi con toni grotteschi che evidenziano la follia di un uomo che si lascia consumare dalla vendetta. I suoi costumi, con dettagli volutamente esagerati e fuori posto, rappresentano la sua personalità sfrenata.
Quando l’uomo, accecato dalla vendetta e dall’ego, spiega la sua messinscena – nella quale aveva ingaggiato i vari personaggi dei casi e addirittura cambiato i connotati per assomigliare a Charles Bukowski – riesce infine a compiere il suo atto di vendetta, uccidendo il povero detective Chuk Malone. La scena dell’assassinio è resa con un’illuminazione cupa e drammatica, accompagnata da una colonna sonora disturbante, che sottolinea la brutalità del gesto. L’interpretazione del detective, che in quel momento sembra finalmente accettare il suo destino, è struggente e porta la storia a un culmine di triste realismo.
Un altro grande colpo di scena è quando l’Uomo ascoltando una vecchia registrazione nella segreteria telefonica del detective, scopre che la moglie Jenni, grazie a Malone, aveva inscenato la propria morte per fuggire da lui. A quel punto si suicida, avendo capito che Jenni voleva scappare da lui, rendendosi conto dell’inutilità dei suoi sforzi, e che ciò che egli credeva essere “amore” non era altro che un’ossessione. L’ultimo atto del protagonista è l’apoteosi della sua tragica esistenza, e l’attore interpreta questo momento con una profondità che lascia il pubblico senza fiato. La scenografia, ora scura e vuota, rispecchia il vuoto interiore del personaggio, mentre i costumi, ormai laceri e stracciati, segnano la fine di un’epoca e di una vita.
Con la messa in scena di questa storia assurda, ambientata alla fine del secolo scorso e interpretata con le dinamiche di un film scadente degli anni ’90 – anche attraverso l’uso di linguaggi e slurs razzisti, omofobi e sessisti – il regista, con il cast, ha voluto lanciare un forte monito sul dilagante fenomeno del femminicidio, che purtroppo permea ancora oggi la società contemporanea: il problema del non comprendere e non accettare il “rifiuto” da parte degli uomini, che spesso si traduce in violenza. La regia, pur mantenendo un tono ironico e volutamente sopra le righe in alcuni momenti, non perde mai di vista il tema centrale e riesce a sollevare interrogativi profondi sulla condizione sociale e psicologica dei suoi personaggi.
Theuodros Negussu