L’11 novembre il Tribunale di Roma Sezione Specializzata Immigrazione sospende il giudizio sul trattenimento e si rivolge con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea proponendo alcuni quesiti pregiudiziali riguardanti la designazione dei paesi di origine sicura da parte del D.L. n. 158/2024. In particolare, il protrarsi dei tempi della decisione sulla domanda di sospensione avrebbe ricadute negative sulla posizione soggettiva del richiedente asilo, sia in termini di diritto di soggiorno sul territorio nazionale che di perdurante titolarità del permesso di soggiorno provvisorio, posto che il comma 4 dell’art 35 ter del d.lvo n. 25/2008 prevede che tale permesso di soggiorno venga rilasciato quando l’istanza di sospensione sia accolta. Il rinvio pregiudiziale è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale emersi a seguito delle norme introdotte dal citato decreto legge, che ha adottato una interpretazione del diritto dell’Unione europea e della sentenza della CGUE del 4 ottobre 2024.Secondo il Tribunale, “deve essere chiaro che la designazione di Paese di origine sicuro è rilevante solo per l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia”.In altre parole, il Tribunale ha ritenuto, e tutt’ora ritiene, che la corretta letturadel diritto dell’Unione, così come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre n.406/2022 , con l’autorité de la chose interprétée, propria delle sentenze pregiudiziali aventi efficacia erga omnes, imponga di considerare che un Paese terzo non possa essere considerato sicuro se tale non è per gruppi di individui, sia che ciò dipenda dalla porzione di territorio in cui si trovano o potrebbero trovarsi (com’era il caso nella fattispecie esaminata dal giudice ceco), sia che dipenda dalla “categoria” di soggetti alla quale appartengono. Ipotesi, questa, da tenersi accuratamente distinta – si badi – da quella in cui un Paese, designato come sicuro e chetale risulti essere senza esclusioni né territoriali né per categorie di persone, possa tuttaviaritenersi non sicuro per un singolo richiedente asilo che abbia fornito – come vuole l’art. 36della Direttiva 2013/32 UE «gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di originesicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso»L’applicazione di una procedura accelerata appare altresì incompatibile conl’esistenza di situazioni di persecuzione, discriminazione e maltrattamento come quellerelative a categorie di persone: tali situazioni, infatti, emergono normalmente soltantoall’esito di un’approfondita istruttoria sulla situazione di ogni singolo richiedente protezione,possibile esclusivamente nelle procedure amministrative ordinarie di esame della domandadi protezione, che permettono tempi adeguati di analisi e valutazione della posizioneindividuale del richiedente e sono soggette eventualmente ad impugnazione attraversoricorsi in sede giurisdizionale esperibili entro termini di decadenza non stringenti.Inoltre, secondo il Tribunale il decreto legge n.158/2024 (sottoposto alla conversione in legge da parte del Parlamento – che si ritiene volersi adeguare alla giurisprudenza vincolante della Corte di Giustizia), ha soppresso dalle condizioni per l’inserimento di uno Stato terzo nell’elenco dei Paesi di origine sicuri la facoltà di escludere parti del territorio (ed ha infatti depennato tre Paesi dall’elenco), ma ha lasciato intatta la possibilità di escludere categorie di persone (così ribadendo la propria interpretazione della sentenza). Il Tribunale ritiene dunque di non potersi più limitare (pur avendone in astratto il potere, in quanto giudice di prima istanza) a confermare la propria interpretazione della sentenza, che a sua volta interpreta e colma il diritto positivo dell’Unione, contrapponendola a quella fatta propria dal legislatore e provvedendo ad applicare il principio (peraltro pacifico da molti anni, secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nonché della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione italiane) del primato del diritto europeo direttamente applicabile (comprensivo pertanto, oltre che dei Regolamenti, anche delle disposizioni delle Direttive, in quanto sufficientemente chiare, precise e dettagliate) su quello nazionale, anche di fonte legislativa, ma di dover sollecitare al riguardo una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiarire definitivamente il perimetro della sua precedente pronuncia.
Paolo Iafrate