NEET: non solo paura di fallire

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NEET è un acronimo inglese utilizzato per identificare giovani, tra i 19 ed i 34 anni, che non hanno intrapreso un percorso accademico o di professionalizzazione, né tantomeno hanno sottoscritto un regolare contratto lavorativo (Not in Education, Employment or Training). Sulla carta, è come se fossero invisibili, ma rappresentano uno dei grandi problemi latenti di questa generazione.

I dati Istat parlano chiaro: in Italia ci sono 2,1 milioni di NEET, il 16% della popolazione nella fascia d’età in esame. Milioni di ragazzi che non prendono attivamente parte alla vita economica del Paese, né si preparano ad entrare nel mondo del lavoro. Un danno sociale enorme, senza tenere conto delle tante e diversificate problematiche di salute mentale che non di rado affliggono i NEET. Secondo studi del King’s College di Londra, condotti già nel 2015, il 60% dei NEET ha avuto disturbi mentali da bambino; percentuale che crolla al 35% per chi, invece, sta seguendo un percorso di vita considerato “regolare”. Tra i disturbi più diffusi, ovviamente, c’è l’ansia, legata alla preoccupazione di non essere abbastanza; di non riuscire ad integrarsi all’interno di un unico percorso lavorativo o di non raggiungere alcun tipo di traguardo accademico.

La media percentuale di NEET, nel resto d’Europa, si attesta intorno all’11% della popolazione giovanile, ma è destinata a diminuire: la Comunità europea ha infatti disposto che la percentuale sia, al massimo, del  9% entro il 2030 in tutta Europa. Anche perché dati molto recenti, dal rapporto “Lost in transition” del Consiglio nazionale dei giovani, mettono in luce un altro aspetto preoccupante riguardo i NEET.

Non tutti si rifugiano in casa, senza uscire o socializzare. Circa il 70% di loro, infatti, decide di intraprendere lavoretti occasionali, rigorosamente pagati in nero. In città, con tutti i vantaggi che un ambiente urbano comporta (tra cui, semplicemente, una maggiore richiesta di servizi), la percentuale sale fino al 90%. Se dal lato umano la notizia può solo essere accolta con ottimismo, sussiste comunque la responsabilità di garantire un impiego di qualità, in grado di tutelare il lavoratore quando necessario. Non tutti i NEET, infatti, hanno deciso di prendersi il così detto “anno sabbatico” per dedicarsi a riflessioni sul proprio percorso di vita: il 20% di loro dichiara di averlo fatto per fornire sostegno alla situazione economica familiare e metà dei NEET cittadini sono riusciti a raggiungere un’indipendenza economica grazie a lavori non regolarmente registrati.

Sicuramente, il rapporto del Cng ha reso chiara la necessità di fornire strumenti mirati per accompagnare ciascun ragazzo verso il mondo del lavoro, che però va necessariamente reso più accessibile: un motivo per cui così tanti giovani decidono di lavorare in nero senza dedicarsi alla formazione, evidentemente, ci sarà.

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