Nel contrasto italo-europeo delle concessioni balneari gli ombrelloni, per protesta, chiudono per due ore

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Gli ombrelloni aperti solo alle 9:30, due ore dopo l’inizio ufficiale, in seguito alla mancata risposta del governo entro la pausa estiva alla richiesta di un intervento normativo sull’annosa – e irrisolta – questione delle concessioni. I balneari infatti hanno scelto la via dello sciopero per protestare contro il governo di Giorgia Meloni e la possibilità di mettere a gara le concessioni balneari, che dovrebbero scadere alla fine del 2024. Ma la categoria si spacca: se Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti hanno imboccato la strada della mobilitazione, altre sigle come Assobalneari, Federbalneari e Cna si sfilano, parlando di “iniziativa spot”. L’orario scelto è il meno affollato della giornata, e comunque nelle due ore di chiusura si potrà andare in spiaggia, dove saranno presenti i bagnini. Gli ombrelloni e i lettini però rimarranno chiusi.

Il governo Meloni ha rimandato qualsiasi soluzione sull’annosa questione delle concessioni balneari a settembre.

Sul tema delle concessioni balneari l’Italia si contrappone a Bruxelles e rischia multe salate perché continua a rinviare la liberalizzazione del settore con vari argomenti tra cui, l’ultimo, è quello della scarsità delle risorse.

Migliaia di aziende associate ad Assobalneari e La Base Balneare con Donnedamare si asterranno dallo sciopero, fanno sapere i presidenti Fabrizio Licordari e Bettina Bolla, convinti che la via maestra sia “sostenere la validità della mappatura fatta dal governo italiano”, secondo cui il 67% delle coste è disponibile al libero mercato. I balneari, infatti, chiedono certezze per le concessioni che sono scadute lo scorso 31 dicembre dopo lo stop del Consiglio di Stato alle proroghe decise dal governo. 

Antonio Capacchione, presidente del Sib avverte: “Sarà uno sciopero gentile. A chi non ritiene di aderire dico: scegliete un’altra iniziativa, ma non fare nulla è sbagliato”. E alle associazioni dei consumatori, dal Codacons all’Aduc all’Unc, contrarie alla protesta, replica: “Chiuderemo gli ombrelloni dalle 7.30 alle 9.30, le due ore mattutine in cui di solito c’è pochissima gente. E ai pochi ospiti offriremo caffè, brioche, io in Puglia darò pane e pomodoro e frutta. Se penalizziamo gli utenti? Ma lo facciamo anche per loro. Con le gare al rialzo succederà quello che è successo a Jesolo, dove hanno tolto le spiagge ai vecchi concessionari ed è arrivato Mr.Geox che ha raddoppiato le tariffe”.

Se gli ombrelloni apriranno con due ore di ritardo, negli stabilimenti tutti i servizi saranno comunque garantiti, dal salvamento – con i bagnini operativi – ai servizi igienici, alle docce. Con qualche iniziativa creativa, come un brindisi con i calici alzati a Rimini

Il nodo resta la procedura di infrazione europea che pende sull’Italia, accusata di non aver ancora fatto partire le gare sulle concessioni prevista dalla direttiva Bolkestein. La riassegnazione deve avvenire entro la fine di quest’anno, ma mancano all’appello criteri nazionali e gli enti locali si stanno avviando a mettere a punto le procedure per conto proprio. I negoziati con Bruxelles sono in corso, ma un portavoce dell’esecutivo Ue ha precisato ieri che “il parere motivato” spedito a Roma a novembre “è l’ultimo passaggio prima di un possibile deferimento alla Corte di giustizia Ue”.

I balneari si sono sempre opposti alla messa a gara delle concessioni: anche il governo attuale si è sempre detto contrario, ma dopo ripetuti richiami sia da parte dell’Unione Europea che del Consiglio di Stato non è più riuscito a evitarlo. I proprietari degli stabilimenti lamentano, però, il fatto che manchino dei criteri nazionali sulle gare e che ogni ente locale possa definire le regole in autonomia, con conseguenti disparità di trattamento tra una località e l’altra. Inoltre richiedono il riconoscimento di un indennizzo economico per i concessionari uscenti, che perderanno la concessione a causa delle gare pubbliche.

 Da decenni le concessioni balneari vengono quasi sempre prorogate in modo automatico agli stessi proprietari, peraltro con canoni d’affitto molto bassi. Ma questo metodo viola la direttiva europea del 2006, nota come “direttiva Bolkestein”, che impone a tutti i paesi membri dell’Unione di fare dei bandi per mettere a gara le concessioni e aprire così il mercato alla concorrenza. Dal 2006 a oggi, però, governi italiani hanno fatto slittare la scadenza delle concessioni, temendo di inimicarsi la categoria dei balneari. L’ultima proroga era stata quella voluta dall’attuale governo di Giorgia Meloni, che con la legge di bilancio approvata nel dicembre del 2022 ha prorogato le concessioni fino alla fine del 2024.

Il Consiglio di Stato ha affermato con tre sentenze che le proroghe generalizzate delle concessioni demaniali agli stabilimenti sono illegittime perché in contrasto con la normativa dell’Ue. Entro il 31 dicembre 2024 tutti i territori dovranno bandire procedure di gara imparziali e trasparenti.

Le concessioni demaniali agli stabilimenti sono illegittime perchè contrastanti con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento sanciti non solo dalla Direttiva Bolkestein, ma anche dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

In una nota il Consiglio di Stato ha ribadito “la necessità, per i Comuni, di bandire immediatamente procedure di gara imparziali e trasparenti per l’assegnazione delle concessioni ormai scadute il 31 dicembre 2023”. In relazione all’avvio della stagione balneare, il Consiglio di Stato consente, in caso di difficoltà nel completamento della gara, la sola proroga c.d. tecnica fino al 31 dicembre 2024

Secondo la Commissione Europea, l’Italia ha considerato “spiagge libere” anche le aree demaniali non disponibili come le coste rocciose, i porti commerciali e le zone marine protette

La situazione vede interessi politici ed economici rilevanti. Dalle oltre 16mila concessioni esistenti lo Stato ricava in media poco più di 100 milioni l’anno grazie ai canoni. Le spiagge sono infatti di proprietà pubblica. Una cifra che appare bassa, secondo la Corte dei Conti, se si valutano i fatturati dei gestori che nel 2024 possono contare su canoni più leggeri ridotti del 4,5% annuo a causa dell’inflazione

Dei Paesi europei, a parte l’Italia, Grecia, Croazia, Francia fanno regolarmente le gare previste dalla direttiva Bolkestein per vedere chi deve gestire gli stabilimenti balneari. In Spagna non c’è il concetto di concessione demaniale sulla spiaggia, in Portogallo si fanno le gare con un piccolo vantaggio per chi già gestisce lo stabilimento e proprio per questo anche Lisbona ha ricevuto la procedura d’infrazione dall’Europa.

Jesolo è un comune con una vocazione turistico balneare molto forte, il sindaco Christopher De Zotti del partito di Fratelli d’Italia ha messo, storicamente,  le spiagge comunali a gara. Il lungomare di Jesolo è stato diviso in 16 tratti e le gare hanno visto per 8 volte vincere i gestori precedenti, su due tratti hanno vinto nuovi gestori e 6 tratti restano ancora da assegnare. Sui 16 tratti di spiaggia di Jesolo, per otto volte c’è stata una sola offerta del gestore che già l’aveva in carico, per le altre 8 spiagge ci sono state due offerte ciascuna (quella del gestore attuale e un concorrente). Non sono arrivate offerte da società straniere. A protestare contro le gare di Jesolo è stato anche l’esponente del Pd Elisabetta Gualmini che, al Parlamento europeo, ha presentato un’interrogazione sul bando di gara di Jesolo dicendo che per come era fatta sfavoriva i precedenti gestori e favoriva troppo grandi gruppi industriali.  Il commissario europeo Thierry Breton ha risposto all’interrogazione di Gualmini dicendo che il bando di Jesolo va bene, ogni Paese veda come garantire anche le politiche sociali.

“Il governo sulle spiagge non ha preso in giro solo i balneari ma tutti gli italiani. La premier Meloni, con la sua proposta di mappatura che ha aumentato la lunghezza della costa italiana da 8 mila a 11 mila km, ha anche ridicolizzato l’Italia in tutta Europa”, ha attaccato il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli.

“Giorgia Meloni, dopo aver bloccato la riforma del governo Draghi che prevedeva l’indennizzo per i gestori di stabilimenti balneari che avessero deciso di non partecipare alle gare, ha proposto di mandare in concessione le ultime spiagge libere del nostro paese. La sua strategia di privatizzare gli ultimi tratti di costa liberi si lega all’inerzia colpevole della premier di non adeguare i canoni di concessione che hanno generato privilegi inaccettabili”.

“Dalla spiaggia dello stabilimento Bagni Fiori di Paraggi che paga allo Stato 5840 euro l’anno di concessione, cifra che viene incassata in meno di mezza giornata, al Twiga di Briatore di Forte dei Marmi che paga allo Stato poco meno di 20mila euro l’anno ma fattura oltre 9,5 milioni di euro l’anno. Ricordo che lo stesso Briatore ha ammesso i ‘canoni demaniali troppo bassi, dovremmo pagare molto di più”.

“In Italia – ha aggiunto Bonelli – gli stabilimenti Balneari, che sono aumentati del 26%, arrivando a 7.244, fatturano quasi 10 miliardi di euro l’anno, ma lo Stato incassa solo 115 milioni di euro a causa dei canoni incredibilmente bassi. Vi sono aree del nostro paese dove gli stabilimenti arrivano ad occupare il 90% delle spiagge. Meloni difende i privilegi non solo danneggiando le entrate dello Stato, non avendo adeguato i canoni di concessione, ma anche l’ambiente e la bellezza delle nostre coste occupate dal cemento e privatizzate”.

“Noi come Avs abbiamo presentato una legge che triplica i canoni di concessione e stabilisce che almeno il 70% delle nostre spiagge sia libero da strutture. Le spiagge sono beni comuni e come tali li difenderemo dal governo Meloni. Il 9 agosto i gestori degli stabilimenti balneari hanno indetto uno sciopero di due ore e chiuderanno gli ombrelloni; i cittadini dovrebbero invadere le spiagge con i loro ombrelloni e asciugamani perché è ora di dire basta alla privatizzazione di un bene pubblico”.

“Il governo Meloni ha preso per l’ennesima volta in giro i balneari, rinviando il problema e promettendo provvedimenti nazionali che non potevano fare”, ha detto Matteo Ricci, europarlamentare Pd, in un post sui social. “Nel frattempo nell’incertezza di questi anni si sono fermati gli investimenti e i comuni sono stati lasciati a se stessi”, ha aggiunto Ricci. “Ora invece di definire criteri seri per le gare (con indennizzi e regole che garantiscano il modello italiano di gestione familiare) lasciano i comuni nel caos e ributtano la palla in Europa. Irresponsabili”.

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