Non fuma il “comignolo conclavizio” dell’Amtab

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Bari – Non ha fumato, ieri mattina, il “comignolo conclavizio” del Consiglio di Disciplina dell’Amtab, l’azienda municipalizzata che gestisce il trasporto urbano su gomma e le aree di sosta cittadine che sulla questione licenziamenti per collusioni con la mafia si è aggiornato a data da destinarsi. L’organismo collegiale che istruisce e decide delle questioni disciplinari riguardanti i dipendenti dell’azienda di viale Jacobini, era stato convocato per ieri mattina, nella sua nuova composizione dopo che l’amministratore unico dell’azienda, l’avvocato romano Luca D’Amore, il 28 febbraio scorso, aveva chiesto alla Regione Puglia di sostituire due componenti perché il consiglio da mesi non riusciva ad esprimersi su una delle più delicate questioni affrontate dalla società negli ultimi tempi che riguarda la proposta di licenziamento di due suoi dipendenti, Massimo Parisi e Tommaso Lovreglio, rispettivamente fratello e nipote acquisito e del potente boss del clan mafioso del quartiere “Japigia”, Savino Parisi. I due, per onore di cronaca, insieme a Michele De Tullio, zio di Lovreglio, meglio conosciuto in città e negli ambienti della mala con il nomignolo “sotto ghiaccio”, all’indomani dell’operazione “Codice Interno”, condotta dagli uomini della squadra mobile della Questura di Bari, che vide il 27 febbraio del 2024 eseguire 137 ordinanze di custodia cautelare con le accuse a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla compravendita elettorale di voti, con l’aggravante del metodo mafioso, furono, a maggio dell’anno scorso, raggiunti da un primo provvedimento aziendale si sospensione dal lavoro e dalla corresponsione degli emolumenti perché, secondo la tesi del teorema accusatorio formulato dalla Procura della Repubblica barese furono accusati di aver imposto alla società municipalizzata di totale proprietà del Comune di Bari, l’assunzione, a tempo determinato, di alcune persone, ritenute dagli inquirenti, vicine, contigue se non proprio affiliate al potente clan mafioso “Parisi”. Dopo il provvedimento di sospensione lavorativa ai tre, anche su indicazione della Commissione di Accesso agli atti amministravi, disposta dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, per verificare il grado di infiltrazione e condizionamento mafioso esistente a Bari nell’ambito della pubblica amministrazione, l’azienda di totale proprietà del Comune di Bari aveva notificato il provvedimento di licenziamento. Disposizione che, in ambito autoferrotranviario, per effetto di un vigente Regio Decreto del 1931, deve essere sottoposto all’esame e al parere del Consiglio di disciplina. E in virtù di questa norma il Parisi e Lovreglio avevano fatto ricorso all’organismo interno, mentre Michele De Tullio essendo alle soglie della pensione non aveva ritenuto opportuno avvalersi di questa opportunità. Ma la discussione sull’argomento dopo diversi rinvii a metà febbraio scorso portò a un nulla di fatto, con i rappresentanti sindacali che, trattandosi di materia estranea alle normali contestazioni maturate nei confini delle logiche e dinamiche lavorative ordinarie, ma bensì oggetto di valutazioni processuali di ambito penale, per fatti non legati strettamente a inosservanze o elusione di regole lavorative, preferirono astenersi, in attesa del pronunciamento della magistratura penale con efficacia definitiva e gli altri quattro componenti, presidente più i tre rappresentanti aziendali, si divisero esattamente a metà e, non riuscirono a emettere un provvedimento sulla questione. Nonostante la sostituzione dei due rappresentanti che votarono contro il licenziamento, che in virtù della posizione dei sindacalisti, non consentì all’organo disciplinare di emettere un parere necessario, anche, se non vincolante per l’azienda, anche, ieri il Consiglio di Disciplina presieduto dal professor Bruno Caruso, un giurista siciliano, all’epoca della designazione indicato dall’allora assessore ai trasporti Anita Maurodinoia, anch’essa coinvolta nell’inchiesta “codice interno” non è approdato a nessuna conclusione. Voci di corridoio sostengono che lo slittamento della decisione sia dovuto al fatto di dover dare tempo ai nuovi componenti, nominati dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, solo venti giorni fa, di conoscere e prendere visione della imponente mole di documenti di questa vicenda in modo da metterli nelle condizioni di esprimere in tutta coscienza e con cognizione di causa il loro parere sulla legittimità o meno dei due provvedimenti di licenziamento in questione.

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