Si disputa oggi l’incontro tra Angela Carini e Imane Khelif, combattimento valido per gli ottavi di finale della categoria 66 kg di pugilato. Chi vince passa ai quarti di finale. Di questa sfida se n’è parlato tanto in queste ultime ore anche per motivi extra sportivi. Perché l’algerina Khelif era stata esclusa dai Mondiali 2023 dopo che i suoi livelli di testosterone furono giudicati eccessivi rispetto ai criteri di ammissibilità. La boxeur già alle Olimpiadi di Tokyo partecipò e giunse fino ai quarti.
Il combattimento degli ottavi di finale del torneo olimpico di boxe femminile tra Angela Carini, pugile campana, e l’algerina Imane Khelif durerà al massimo tre round (tutti da tre minuti) e prenderà il via alle ore 12:20. La vincente se la vedrà con Hamori o Williamson nei quarti di finale.
Imane Khelifè, pugile algerina, nel 2021 ha partecipato ai Giochi di Tokyo, perdendo ai quarti di finale. Martedì scorso il CIO l’ha ammessa alla competizione, nonostante un anno fa era stata esclusa dai Mondiali femminili di boxe perché i risultati degli esami medici non rispettavano i criteri per l’accesso alle gare femminili dell’IBA.
In Italia si sono scatenate forti e dovute polemiche. Ne ha parlato il Ministro dello Sport Abodi: “Quello delle atlete e degli atleti transgender è un tema che va ricondotto alla categoria del rispetto in tutte le sue forme. Ed è del tutto evidente che la dimensione dell’identità di genere in ambito agonistico pone il problema delle pari opportunità o delle stesse opportunità. Per Angela Carini non sarà così perché il CIO fa riferimento a un’idea di inclusività che prescinde da fattori primari irrinunciabili”. Ne hanno parlato anche il leader della Lega Salvini, che ha criticato la decisione di ammettere Khelif, definendola ‘pugile trans’, e la ministra della Famiglia Roccella. In realtà, tutti erano in errore, visto che Imane Khelif è una ‘donna’ e non è corretto definirla in modo diverso, a partire da chi la definisce ‘intersex’. La realtà e molto più complessa ed andrebbe esaminata in modo diametralmente opposto.
“La destra italiana non ne azzecca una, accecata com’è dall’odio verso le persone LGBTQIA+ non vede l’ora di potere sparare a zero contro di loro alimentando odio e fomentando pregiudizi e ignoranza. Dopo la ridicola polemica sulla cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici di Parigi e la presunta parodia dell’Ultima cena, che non era neanche l’Ultima cena, oggi e’ il giorno dell’attacco all’atleta “trans” algerina Imane Khelif, che poi non e’ un’atleta trans. Sarebbe, invece, intersex e identificata donna fin dalla nascita, secondo la ricostruzione dell’associazione Gaynet”, cosi l’ex presidente della Camera e deputata, Laura Boldrini.
Il CIO non ci sta e spiega perché Imane Khelif è stata ammessa e afferma che questa è una caccia alle streghe: “Non dovrebbe esserci una “caccia alle streghe contro i due pugili (Khelif e Lin Yu-Ting) pienamente idonei. Sono donne sui loro passaporti e hanno gareggiato per molti anni”.
Il dubbio se si tratti di atlete trans o intersex resta, ma di una cosa l’International Boxing Association è certa: dai test effettuati sotto la loro supervisione l’algerina Imane Khelif e la taiwanese Lin Yu-ting non hanno le caratteristiche per competere con le atlete donne. “Gli atleti non sono stati sottoposti ad un esame del testosterone, bensì ad un test separato e riconosciuto, i cui dettagli rimangono confidenziali. Questo test ha indicato in modo conclusivo che entrambi gli atleti non soddisfacevano i criteri di ammissibilità necessari e si è scoperto che avevano vantaggi competitivi rispetto ad altre concorrenti donne“, si legge in una nota dell’Iba, giunta al termine di una giornata di polemiche, poi virata in mistero sul sesso biologico delle due alla nascita.
Basandosi su test scientifici l’Iba decise per l’esclusione dalle competizioni con le donne; il Cio, che pure – secondo quanto emerso – ha registrato il risultato dei test, con la sua Boxing Unit ha deciso al contrario, aprendo la strada alle forti perplessità e ai veri e propri allarmi lanciati sul caso.
“È scioccante che sia stato loro permesso di arrivare fin qui, cosa sta succedendo?”, è l’espressione usata dall’ex campione del mondo, Barry McGuigan, per commentare la decisione del Comitato Olimpico Internazionale.
Stesso tono anche da parte della messicana Brianda Tamara, che contro la nord-africana s’era battuta un anno fa e aveva commentato così la decisione di estrometterla dal torno iridato: “I suoi colpi mi hanno fatto molto male, non credo di essermi mai sentita così nei miei 13 anni da pugile, nemmeno combattendo contro sparring partner uomini”.
Perché s’è creata questo caso paradossale? Ovvero: com’è possibile che Khelif sia idonea per combattere alle Olimpiadi e non lo sia stata per i Mondiali? Quest’ultima rassegna internazionale era sotto l’egida della IBA (International Boxing Association) il cui presidente, Umar Kremlev, citò l’esito dei riscontri sul DNA e spiegò che sia l’algerina sia la cinese “avevano cromosomi XY e per questo erano state estromesse dagli eventi sportivi così da garantire integrità e equità della competizione”.
Quanto ai Giochi, il sistema di valutazione è stato gestito dalla Paris 2024 Boxing Unit del CIO che ha regole meno rigide e si muove ormai da tempo nel solco di una linea totalmente differente che spinge verso l’inclusività: la decisione del Comitato di non effettuare più la verifica del sesso.
“Tutti gli atleti che partecipano al torneo di pugilato dei Giochi olimpici di Parigi 2024 rispettano le norme di ammissibilità e di iscrizione alla competizione, nonché tutte le norme mediche applicabili in conformità con le regole 1.4 e 3.1 dell’Unità di pugilato di Parigi 2024”. Il CIO ha precisato che il regolamento in atto è lo stesso adottato per Tokyo 2020 ma con alcune modifiche per “limitare l’impatto sulla preparazione degli atleti e garantire continuità tra le edizioni dei Giochi Olimpici”.
E solo dinanzi a evidenze scientifiche che dimostrino con certezza che si possa creare una condizione squilibrata di vantaggio/svantaggio un’atleta può non essere considerata idonea a partecipare. È anche su questa base che in un’intervista all’Agenzia France-Presse Khelif sostenne di essere stata vittima di un complotto contro l’Algeria perché non le fosse assegnata la medaglia d’oro.
Nel comunicato viene anche ricordato che le squalifiche nel 2023 di Lin Yu-ting e Imane Khelif, che si disse “vittima di un complotto”, sono state “il risultato del loro mancato rispetto dei criteri di idoneità per la partecipazione alla competizione femminile, come stabilito” e che inizialmente Khelif aveva deciso di ricorrere fino al Tas, salvo poi rinunciare al proposito, mentre l’atleta di Taiwan non aveva proprio fatto appello.
Tace la sinistra italiana sulla questione delle atlete con “cromosomi maschili” alle Olimpiadi, che invece allarma il centrodestra e il femminismo storico sia per il danno che arreca alle donne in termini di spazi sia, nel caso specifico del pugilato, per il rischio anche fisico che comporta. Si tratta di un silenzio che dai parlamentari Pd non viene rotto neanche di fronte a sollecitazioni e che del resto non stupisce: alla base dell’ammissione agli incontri di boxe femminile dell’algerina Imane Khelif e della taiwanese taiwanese Lin Yu-tin, che per i loro cromosomi non passarono i “gender test” dei mondiali e quindi furono escluse, si affaccia quell’ideologia gender intorno alla quale ruotava e si schiantò il ddl Zan.
Il tema della partecipazione di persone nate uomini alle gare sportive femminili fu al centro del dibattito sulla legge Zan e sul fittizio principio di inclusività e lotta alle discriminazioni che la sinistra andava sbandierando, ovviamente tacciando di strizzare l’occhio alle discriminazioni chiunque si opponesse al principio per cui basta sentirsi donna o uomo per esserlo. L’allarme fu lanciato, tra l’altro, dall’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, in un intervento in Aula che cadeva proprio in questi giorni, ma tre anni fa. Una circostanza che dà la misura di quanto la posizione del Cio sugli asseriti diritti in realtà assai vecchia. Anche alla luce di esperienze emblematiche già consumate, come quella della nuotatrice trans americana Lia Thomas e dell’esclusione dai mondiali di pugilato delle stesse atlete che invece sono state ammesse dal Cio.
“Se mi sento donna, sono donna e se vado da qualcuno a dire che sono donna e lui insiste che sono uomo lo posso denunciare per discriminazione. Questa è una sciocchezza, un’idiozia, c’è poco da girarci attorno: è terrapiattismo biologico e terrapiattismo scientifico”, disse Fazzolari, riferendosi all’impostazione gender del disegno di legge Zan. “Noi che diciamo che questo è terrapiattismo non siamo omofobi. Chi sostiene queste cose dovrebbe giustificare le idiozie che dice”, aggiunse, soffermandosi poi, nel corso di un intervento molto articolato, anche su cosa significava introdurre quel principio nello sport.
“Gli Zan di tutto il mondo hanno deciso che se uno si dichiara donna partecipa alle competizioni femminili e non con gli uomini. Alcuni esempi: Hannah Mouncey, transgender, uomo, era nella nazionale maschile di pallamano, adesso è nella nazionale femminile; australiano, 1,88 metri per 100 kg di muscoli, di solito vince le partite. Maxine Blythin, giocatrice transgender di cricket: quando gareggiava con gli uomini aveva 15 punti segnati al lanciatore (ottima media), adesso la sua media è 123 (addio sogni di gloria alle lottatrici avversarie). Lauren Hubbard sarà la prima transgender a partecipare alle Olimpiadi nel sollevamento pesi e ovviamente le sue avversarie non l’hanno presa benissimo“.
E, ancora, in riferimento agli sport che comportano il contatto fisico, Fazzolari avvertì che “è anche un problema di sicurezza e vi sono alcuni esempi concreti”. Tra gli esempi portati quelli della rugbista trans Kelly Morgan, della quale “si legge, nei resoconti di una partita, che ha piegato la sua avversaria come una sedia a sdraio, con fratture multiple”; di Fallon Fox, “un lottatore o lottatrice di arti marziali miste (Mma per chi lo conosce), lo sport più violento che ci sia”, che lasciò priva di sensi l’avversaria Erika Newsome con un colpo di ginocchio alla testa che “le ha spaccato il cranio”. Fazzolari, poi, ha ricordato le parole di Tamika Brents, che a sua volta combatté contro Fox, ricavandone sette fratture faciali e una commozione cerebrale: “Ho combattuto contro molte donne, mai avevo avvertito la forza e la ferocia che ho sperimentato quella sera con Fox, e sono una donna forte. Continuo a disapprovare che Fox combatta contro le donne; lo trovo ingiusto e non leale”.
Parole che ricordano quelle di Brianda Tamara Cruz Sandoval, la pugile messicana che nell’aprile 2023 commentò l’esclusione delle trans dai Mondiali di pugilato, raccontando la sua esperienza personale nell’incontro con una di loro. “Quando l’ho combattuta l’ho sentita molto fuori dalla mia portata, i suoi pugni mi hanno fatto molto male. Non credo di essermi mai sentita così nei miei 13 anni come pugile, nemmeno nei miei sparring con gli uomini. Grazie a Dio quel giorno ho lasciato bene il ring ed è un bene che finalmente se ne siano resi conto. Gliel’ho detto”, spiegò Cruz Sandoval. Quella trans era proprio Imane Khelif, che il Cio ha nuovamente abilitato a combattere contro le donne e che incontrerà l’italiana Angela Carini. “Ci rimettiamo alle decisioni del Cio, lei pensa solo al match, poi dopo dirà quello che pensa”, è stato il commento trapelato dall’entourage dell’atleta azzurra.
Abodi ha sottolineato la necessità di allineare “i parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi europei, mondiali e Olimpiadi”. Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport – ha spiegato – si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Oggi, per Angela Carini non sarà così”. “Dobbiamo distinguere la pratica sportiva dall’agonismo, che deve poter consentire di competere ad armi pari, in piena sicurezza”, ha aggiunto Abodi, sottolineando che “non a caso tante discipline sportive hanno posto dei vincoli per le atlete e atleti transgender necessari per poter permettere di gareggiare alle stesse condizioni. In questo caso assistiamo a un’interpretazione del concetto di inclusività che non tiene conto di fattori primari e irrinunciabili”.
“Il Cio aveva già dato la risposta” sul caso Khelif, per cui non arriverà nessun altro commento all’Italia dopo che il Coni aveva annunciato un passo ufficiale col Comitato Olimpico Internazionale in merito alla pugile algerina: lo ha dichiarato Giovanni Malagò, lasciando Casa Italia. Il presidente del Coni ha spiegato di aver “ulteriormente formalizzato al Cio la nostra richiesta di sicurezza sui parametri da rispettare. Preoccupato per Carini? Assolutamente no“, ha concluso.