La sentenza della CGUE del 4 ottobre 2024 c 406/2022 ha stabilito che un paese terzo non può essere designato come “sicuro” se parti del suo territorio non soddisfano i criteri di sicurezza previsti dalla direttiva 2013/32/UE. Tuttavia, la questione se tale principio si applichi anche alle eccezioni riguardanti specifiche categorie di persone rimane controversa. Diversi tribunali italiani hanno interpretato la sentenza in modo divergente, portando a una frammentazione giurisprudenziale e a numerosi rinvii pregiudiziali alla CGUE. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33398 del 19 dicembre 2024, ha chiarito che il giudice ordinario ha il potere-dovere di verificare la legittimità della designazione di un paese come “sicuro”, disapplicando la lista ministeriale o legislativa qualora essa sia in contrasto con i criteri europei. Per converso, sulla questione delle eccezioni per categorie specifiche, la Cassazione ha preferito rimandare la decisione, attendendo il pronunciamento della CGUE nei casi riuniti C-758/24 e C-759/24. La Corte di Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 34898 del 30 dicembre 2024 in relazione alla possibilità o meno per gli Stati di procedere alla qualificazione di un paese d’origine come sicuro in presenza di eccezioni per alcune categorie di persone ha deciso di rinviare la causa a nuovo ruolo per «evidenti ragioni di cautela» considerata, in particolare, l’ormai prossima decisione della Corte di giustizia proprio sul rinvio pregiudiziale disposto nelle cause riunite. Successivamente il 31 gennaio 2025, la Sezione Persona, Famiglia, Minorenni e Protezione Internazionale della Corte d’Appello di Roma ha sospeso il giudizio di convalida del trattenimento di 43 cittadini stranieri condotti nei centri albanesi, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questo rinvio si aggiunge a una serie di altri casi pendenti dinanzi alla CGUE, tutti incentrati sulla questione se un paese possa essere designato come “sicuro” quando le condizioni sostanziali non sono soddisfatte per alcune categorie di persone La Corte d’Appello ha motivato il rinvio sottolineando che dalle fonti istituzionali emerge che in paesi come il Bangladesh le condizioni di sicurezza non sono garantite per alcune categorie di persone, tra cui membri della comunità LGBTQI+, vittime di violenza di genere, minoranze etniche e religiose, e oppositori politici. Inoltre, ha evidenziato che la direttiva 2013/32/UE non prevede eccezioni per categorie di persone nella designazione di un paese sicuro, diversamente da quanto previsto dal regolamento 2024/1348, che entrerà in vigore nel 2026 e reintrodurrà questa possibilità. La designazione di un paese come “sicuro” ha implicazioni significative per i richiedenti asilo, poiché attiva la procedura accelerata di esame delle domande di asilo, prevista dall’articolo 28 del decreto legislativo 25/2008. In tale contesto, i richiedenti asilo possono essere trattenuti per un massimo di quattro settimane in centri di frontiera o di transito, come quelli istituiti in Albania in base al Protocollo Italia-Albania ratificato con legge 14/2024. La Corte d’Appello ha motivato il rinvio sottolineando che dalle fonti istituzionali emerge che in paesi come il Bangladesh le condizioni di sicurezza non sono garantite per alcune categorie di persone, tra cui membri della comunità LGBTQI+, vittime di violenza di genere, minoranze etniche e religiose, e oppositori politici. Inoltre, ha evidenziato che la direttiva 2013/32/UE non prevede eccezioni per categorie di persone nella designazione di un paese sicuro, diversamente da quanto previsto dal regolamento 2024/1348, che entrerà in vigore nel 2026 e reintrodurrà questa possibilità. Le cause riunite sono trattate in udienza orale dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Questo significa che la questione è stata considerata di particolare rilevanza giuridica e politica, giustificando l’intervento di 15 giudici della CGUE. L’oggetto del rinvio pregiudiziale riguarda il “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, con particolare riferimento alla designazione dei “paesi sicuri” nel contesto del diritto dell’Unione, elemento centrale nelle cause Alace e Canpelli. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nei casi riuniti C-758/24 e C-759/24 potrebbe avere diverse implicazioni per la normativa sui “paesi sicuri” e la gestione dei richiedenti asilo. Ecco una sintesi delle principali possibilità: a) ribadire il principio della sentenza C-406/22: se la CGUE confermasse che un paese non può essere considerato “sicuro” se alcune categorie di persone non godono di adeguata protezione, gli Stati membri sarebbero obbligati a rivedere le loro liste di “paesi sicuri”, eliminando quelli che non garantiscono sicurezza a tutti; b) riconoscere un paese come “prevalentemente sicuro” ma con valutazioni individuali: La CGUE potrebbe stabilire che un paese è generalmente sicuro, ma richiedere agli Stati membri di valutare individualmente le condizioni per categorie vulnerabili. Se la Corte riconoscesse ampia discrezionalità agli Stati membri nel designare i paesi sicuri, l’elenco dei paesi sicuri potrebbe restare invariato, con eccezioni per gruppi vulnerabili. La normativa italiana (legge 187/24) potrebbe essere emendata, ma potrebbero instaurarsi dei conflitti con l’art.18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Se la CGUE ritenesse la normativa italiana incompatibile con il diritto UE, l’Italia sarebbe obbligata a modificare le procedure di asilo, annullare le designazioni dei paesi sicuri e rivedere la normativa in materia. Infine se la CGUE non chiarisse tutti gli aspetti del caso, la questione potrebbe essere rimessa alla Corte Costituzionale italiana per valutare la compatibilità della normativa nazionale con la Costituzione in relazione agli articoli della Costituzione, 3,10,13 e 24. La pronuncia, prevista per giugno 2025, sarà fondamentale per definire il futuro della disciplina sui “paesi sicuri” in Europa, un primo passo ci sarà il 10 aprile 2025 data nella quale verranno presentate le conclusioni congiunte dall’Avvocato Generale della Corte di giustizia dell’Ue, Richard de la Tour. La pronuncia della Corte di Giustizia dovrà dunque essere adottata sulla base della normativa attuale e non secondo quanto previsto da disposizioni di un Regolamento 2024/1348 del 14 maggio 2024, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 22 maggio 2024, la cui applicazione decorrerà a partire dal 12 giugno 2026 e che pure, in materia di procedure accelerate in frontiera e di trattenimento amministrativo, presenta rigorose garanzie procedurali, ignote alla vigente legislazione italiana. In ultimo è opportuno osservare che il Protocollo tra Italia e Albania in materia migratoria, firmato il 6 novembre 2023 ed entrato in vigore il 25 marzo 2024, prevede specifiche condizioni per la sua eventuale rinuncia unilaterale. Secondo l’articolo 13 della legge n. 14 del 21 febbraio 2024, delle Parti, il Protocollo resta in vigore per 5 anni ed è rinnovato tacitamente per un ulteriore periodo di 5 anni, salvo che una delle due Parti comunichi, con preavviso di almeno sei mesi rispetto alla scadenza, la propria intenzione di non rinnovare il Protocollo. Il dibattito sulla gestione dei richiedenti asilo rimarrà acceso, con possibili ulteriori rinvii alla Corte Costituzionale italiana. La decisione della CGUE avrà un impatto significativo sulla normativa italiana e sul sistema europeo di protezione internazionale, con possibili ricadute sul diritto di asilo e sulla tutela dei diritti umani. La CGUE dovrà bilanciare l’efficienza delle procedure con la garanzia di un’adeguata protezione per i richiedenti asilo, specialmente per le categorie più vulnerabili.
Paolo Iafrate