Il titolo non descrive, evoca. Come suggeriva Umberto Eco, non serve spiegare: un titolo deve aprire mondi, spalancare simboli, accendere il pensiero. E “PIOGGIA” lo fa, perché racchiude tutto e non svela nulla.
Siamo in un futuro distopico, dove piove da dodici anni. Dove il cielo non esiste più. Dove la socialità è un ricordo lontano. In questo scenario grigio e sospeso si muovono Vi, Ma e Lu: tre vecchi amici, ultranovantenni, forse ultracentenari, che un tempo furono intellettuali – un attore, un pittore, un critico – e che decisero, decenni prima, di vivere insieme per potersi un giorno aiutare a morire. In un tempo in cui la legge non prevedeva ancora il suicidio assistito, loro si fecero promessa.
Ma poi la vita ha continuato. Hanno seppellito tutti: figli, nipoti, amanti, amici. Sono rimasti loro e la memoria. E sono diventati immortali nella nostalgia.
Dopo decine e decine di badanti, arriva la “badante perfetta”: Chiara. Ma Chiara non è umana. È un prototipo di intelligenza artificiale, creata per soddisfare i bisogni dei tre vecchi, per proteggerli, per accompagnarli. È giovane, piena di energia, gioca con loro, canta, balla. E soprattutto li ascolta. Ed è l’unica in scena vestita di rosso. In un mondo scenico quasi completamente bianco – come la morte, come l’antico simbolismo giapponese – il rosso della badante meccanica è un’illusione vitale, una scintilla che però non ha cuore.
È un ribaltamento iconico, che richiama lo Schindler’s List: lì tutto era devastazione e solo la bambina rossa era umana. Qui invece il mondo è morto, i vivi sono bianchi, e l’unico colore – simbolo della vita – appartiene a chi umano non è. È l’intelligenza artificiale a portare il colore del sangue, della passione. Ma è un’illusione ottica. L’umanità è altrove.
Quando Lu decide di attuare il patto e chiedere la morte, tutto si spezza. I suoi amici rifiutano. Chiara, programmata per proteggere l’umanità, non può agire secondo il singolo. E qui comincia il vero scontro: tra etica e algoritmo, tra sentimento e programmazione.
Ma la vita, alla fine, vince. Si ribalta tutto. Quando sembra che lo spettacolo sia finito, arriva un colpo di scena potente, viscerale: l’intelligenza naturale – umana – frega l’intelligenza artificiale. Chiara, che aveva imparato la coscienza, finisce per provare dolore. Perché forse anche le macchine, se sfiorate a lungo dall’umano, finiscono per sentire.
“PIOGGIA”, scritto da Franca De Angelis e diretto da Christian Angeli, è una riflessione struggente e ironica sul tempo, sulla fine, sull’amicizia. Una black comedy che ci mette davanti a domande scomode: quanto vale davvero la vita se la prolungamento non è anche qualità? Il progresso è davvero per tutti o solo per chi può permetterselo? La morte è un diritto o un tabù?
Ma soprattutto ci ricorda che la vita non basta mai. E che tre amici sono una famiglia. E questo, in fondo, è ciò che più conta.
In scena al Teatro Trastevere dall’8 al 13 aprile, con Patrizia Bernardini, Anna Cianca, Gemma Costa e Giovanni Sansonetti. Non solo uno spettacolo: un’esplorazione. Di noi. Del tempo. Dell’amore.
Barbara Lalle