E’ fissato oggi il giorno del verdetto nel processo Open Arms celebrato nell’aula bunker del Pagliarelli di Palermo. I giudici della II sezione penale presieduta da Roberto Murgia, dopo le eventuali controrepliche, entreranno in camera di consiglio per emettere la sentenza a carico di Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Il leader della Lega, all’epoca ministro dell’Interno, rischia sei anni di carcere, per avere impedito lo sbarco, nell’agosto 2019, di 147 migranti dalla nave della ong spagnola, fermata a mezzo miglio da Lampedusa.
“Pensiamo che il dibattimento abbia dimostrato – aveva argomentato il 14 settembre la procura nel corso della requisitoria – che almeno dal 14 agosto 2019 sussisteva il chiaro e preciso obbligo del ministro italiano e di nessun altro di rilasciare il Pos. Che tale Pos doveva essere rilasciato senza indugio, non un’ora dopo rispetto al momento in cui era stato richiesto; che il diniego avvenne in intenzionale e consapevole spregio delle regole”. E non per ragioni “di natura preventiva o repressiva, ne’ nella tutela dello stesso migrante ristretto, ne’ per altro bene tutelato dall’ordinamento giuridico”, o “nel tentativo di proseguire un disegno politico governativo, magari con qualche forzatura giuridica non giusta, ma quantomeno tendente alla giustizia”. Che dunque “il diniego consapevole e volontario ha leso la libertà personale di 147 persone per nessuna, ma proprio per nessuna, apprezzabile ragione”.
Nella sua arringa, il 18 ottobre, l’avvocata Giulia Bongiorno, legale del ministro ai Trasporti, c’era una “Italia in ginocchio”, che ha quasi pregato di sbarcare i naufraghi, sollecitando più volte l’invio di attestazioni sul ‘disagio’ degli stranieri a bordo. Invito inascoltato dalla ong, perché, per l’avvocato – che ha chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” – vero obiettivo di Oscar Camps non era lo sbarco, ma che Salvini decadesse da ministro: solo in questo senso, a suo parere, questo sarebbe un “processo politico”. Così si spiegherebbero gli “innumerevoli rifiuti” allo sbarco della Open Arms, cui sarebbero state date “innumerevoli possibilità di approdo”.
Matteo Salvini raccoglie «solidarietà e stupore» europeo per il processo Open Arms. Alla vigilia dell’udienza decisiva, prevista oggi, venerdì 20 dicembre, il vicepremier e leader della Lega incassa il sostegno dei suoi alleati europei, riuniti al summit dei Patrioti nella capitale belga. «Alcuni non credono possibile che si possa processare un ministro per un’attività amministrativa e politica. Porto con me a Palermo il loro supporto», ha dichiarato Salvini a margine dell’incontro, per poi aggiungere su X: «Preoccupato? No, assolutamente determinato».
Il quotidiano olandese De Telegraaf ha già acceso i riflettori sull’udienza con un titolo che non lascia spazio a fraintendimenti: «I giudici dovrebbero essere giudici e non fare politica».
Salvini, ha condiviso sui social una foto accanto ai leader alleati, lo sottoscrive: ‘Oggi andrò a Palermo a testa alta, senza paura, perché difendere i confini è un dovere, non un reato». A fargli da eco anche Santiago Abascal con una decisa stretta di mano e l’astro nascente del Rassemblement National Jordan Bardella. «Grazie per il supporto e l’amicizia», ha concluso il legista.
Anche Antonio Tajani è «convinto che Matteo Salvini debba essere assolto. Trovo veramente singolare che un ministro che fa il proprio dovere venga incriminato. Mi auguro che in Sicilia ci sia un giudice che applichi la legge nel giusto modo».
Non potevano mancare le parole di Andrea Crippa. «Solo una Magistratura, per fortuna una parte e non tutta, ma rilevante, politicizzata e chiaramente di sinistra può chiedere sei anni di galera», afferma con voce il vicesegretario della Lega. «La sentenza non riguarda solo Salvini, ma tutti gli italiani. Un’eventuale condanna sarebbe un fatto gravissimo, una condanna all’intero popolo italiano. Una condanna sarebbe un colpo alla nostra democrazia e al diritto di un ministro di difendere i confini nazionali», rimarca Crippa, aggiungendo che il partito è pronto a mobilitarsi in caso di sentenza sfavorevole.