Prodi: ‘L’Ue così finisce male, Ursula naviga a vista’

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Romano Prodi, ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea, ha espresso preoccupazione per il futuro dell’Unione Europea in una lunga intervista al corriere.it, l’ex premier ha lanciato anche frecciate a Giorgia Meloni. Secondo lui, l’immobilismo dell’attuale leadership rischia di compromettere la tenuta dell’intero progetto europeo. «Von der Leyen finora ha soprattutto mediato. Ma se in Europa continuiamo così andiamo a finir male: è il momento di fare scelte importanti, si deve esistere sui grandi temi della difesa, della politica estera e dell’economia».

L’ex premier ha sottolineato come la presidente della Commissione si trovi sostenuta da una maggioranza debole, in parte garantita anche dai voti della coalizione di Giorgia Meloni. Tuttavia, per Prodi, il contributo della premier italiana non rappresenta un reale cambiamento. «La presidente della Commissione ha sottoscritto una polizza di assicurazione in più che si chiama Meloni. E continua a navigare a vista».

‘Meloni, pur avendo votato per von der Leyen, rimane strettamente legata al proprio elettorato e alleati e non può permettersi di rompere con i suoi mondi e non può permettere che la Lega glieli vada a insidiare. In Europa, come avevo detto fin dall’inizio, diventa la ruota di scorta di von der Leyen’.

Prodi dice che, quando i premier che contano si vedranno al bar per prendersi un drink prima dei vertici, Giorgia Meloni non ci sarà. Forse, però, sporadicamente entrerà nel club e qualche drink lo berrà. Magari però qualcuno, a cominciare dalla Lega, le metterà un po’ di veleno nel bicchiere. Meloni, comunque, è entrata nel bar, di più non può fare perché il suo mondo non glielo permette, ha una limitata libertà di manovra, sia per ragioni interne al suo partito, sia per la presenza nella sua maggioranza della Lega, che sarà ancora più dura dovendo far fronte al suo problema esistenziale. Meloni dovrà uscire spesso da quel bar, per tenere buoni i suoi’.

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‘Il Pd ha fatto benissimo a votare Fitto come vicepresidente, lo avevo suggerito prima del voto. Fitto è il miglior candidato che questo governo potesse esprimere. Anche se, diciamolo chiaramente, la vicepresidenza esecutiva non conta nulla, io non ricordo neppure i nomi dei miei vicepresidenti che erano solo due, mentre ora sono addirittura sei. Il Pd non può coltivare di nuovo l’illusione di vincere in solitudine, che gli è costata grandi sconfitte. Certo mancano poco più di due anni alle elezioni e le dinamiche future non sono prevedibili. Assistiamo a una varietà di composizioni e scomposizioni nelle diverse elezioni regionali. Tutto dipenderà quindi dalla capacità del Pd di costruire le alleanze necessarie e, nello stesso tempo, di conquistare consensi con programmi attivi. Non è sufficiente criticare, seppure a ragione, un governo che è sostanzialmente inesistente, nella politica economica, industriale e sociale. Il Pd deve preparare riforme in grado di infiammare l’elettorato, che è scontento del governo ma non vede alternative, allarga le braccia e teme il salto nel vuoto. L’industria italiana è in grave crisi, così come quella tedesca, ma a differenza che in Germania da noi non se ne discute. Non lo fa neppure Confindustria. Una volta c’erano i convegni, che forse non decidevano nulla ma aprivano prospettive e offrivano soluzioni. In Italia si parla d’altro. Ed è paradossale che il capo dello Stato debba dire alla premier: state calmi’.

‘Le società si sono complicate. Costruire governi di coalizione tra partiti omogenei è sempre più difficile. Ma nelle alleanze disomogenee prendere decisioni è quasi impossibile. La crisi tedesca è emblematica delle difficoltà della democrazia in Occidente. In Italia ci siamo abituati e anche se piccoli abbiamo spesso fatto da battistrada: Mussolini insegnò a Hitler, Berlusconi è stato il precursore di Trump, i Cinque Stelle gli araldi di un populismo sgangherato, i francesi ora addirittura parlano di governo tecnico. Accordi politici chiari sono sempre più difficili. Per questo motivo è facilitato l’arrivo di personaggi che accorpano un Paese dietro un’idea non democratica: Orban con la democrazia illiberale, Trump con “Make America great again”. La Cina oggi ha un solo obiettivo: sfidare gli Usa nel campo tecnologico e strategico. Così come sia i repubblicani che i democratici americani hanno come unico punto in comune la sfida nei confronti della Cina. È un confronto globale, equivalente a quello tra Usa e Urss durante la Guerra fredda. Allora fu risolta con un compromesso, da Kennedy e Krusciov su Cuba in poi. Oggi o si parlano Cina e Stati Uniti, oppure la tensione globale continuerà con rischi altissimi, tanto più con l’Europa che ha rinunciato al suo ruolo. Ricordo che, quando ero presidente della Commissione, la Cina riconosceva un grande ruolo all’Europa nel mantenimento degli equilibri mondiali. Con l’auto-marginalizzazione dell’Ue, i due imperi sono soli, uno di fronte all’altro. E senza dialogo finisce male».

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