La recente esclusione di Raffaele Fitto dalla vicepresidenza della Commissione europea ha suscitato un acceso dibattito all’interno della scena politica italiana. Questo episodio non è solo un semplice fatto di cronaca, ma rappresenta un momento cruciale per l’Italia nel contesto europeo. La Commissione europea, infatti, gioca un ruolo fondamentale nella definizione delle politiche comunitarie e la presenza di un rappresentante italiano in una posizione di rilievo sarebbe stata un’opportunità significativa per il nostro paese.
A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischiava di non esserci più, vista la possibilità che restava seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont.
A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non avrebbero votato Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera. E il baratro, per la der Leyen non è più un’ipotesi, visto il gioco dei veti incrociati che, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti.
Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto, ma l’incontro non è servito a nulla e tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Ribera, come noto, è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna.
‘’Quello che sta facendo il Pd è vergognoso e sconcertante”: dice Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei Conservatori, di cui Fratelli d’Italia è parte. Prima avevano detto che avrebbero giudicato Fitto sulla base della sua audizione, il che è anche legittimo. Fitto è stato bravissimo, come era logico che fosse essendo stato per anni a Bruxelles proprio nella commissione che lo valutava, avendo esperienza, capacità, carattere. E allora ecco che arriva la richiesta affinché non sia vicepresidente esecutivo, alla quale si sono accodati i socialisti europei. È una posizione di una gravità enorme. Nemmeno gli spagnoli del Ppe sono arrivati a chiedere di non avere una vicepresidenza, hanno solo detto che la Ribera è inadeguata, dopo i fatti di Valencia”.
A Paola Di Caro del Corriere che chiede: come mai avete votato contro von der Leyen e ora voterete a favore? “Sono due voti diversi – spiega Procaccini – Quello di tre mesi fa era sul programma politico di von der Leyen, al quale eravamo contrari per eccessivo appiattimento rispetto al mandato precedente. A fine novembre si voterà la commissione nella sua composizione, compreso il commissario italiano. D’altra parte, è un fatto incontrovertibile che il Parlamento europeo sia più spostato a destra rispetto alla legislatura precedente. Comunque le istituzioni europee sono indipendenti tra loro, e noi siamo stati favorevoli a tutti i commissari perché rispettiamo le prerogative degli Stati membri. Abbiamo avuto difficoltà a supportare solo la rappresentante belga perché francamente inadeguata. Per il resto, ogni governo in Consiglio europeo esprime un proprio candidato, quella è la regola”.
Tutte le audizioni dei candidati sono state organizzate e le lettere di valutazione dovrebbero essere pubblicate il 21 novembre, mentre il Parlamento dovrebbe votare la Commissione nel suo complesso la settimana successiva. Ogni candidato ha bisogno del sostegno di almeno due terzi della commissione del Parlamento europeo, che conduce la relativa audizione di conferma. Ciò significa che la maggioranza dei gruppi politici deve sostenere ciascun commissario. Prima delle audizioni, tutti i gruppi politici del Parlamento avevano annunciato che le decisioni si sarebbero basate sulla sostanza delle risposte dei candidati. Tuttavia, non è stato del tutto così.
A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischiava di non esserci più. La possibilità che restava seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont.
A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non voteranno Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera. E il baratro, per la der Leyen, non è più un’ipotesi dell’irrealtà. Il gioco dei veti incrociati, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti.
Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto. Non è servito a nulla. Tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Nell’audizione all’Eurocamera, Ribera è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna.
E la linea del Ppe si è mostrata in linea con quella del Partido Popular: il sì alla fedelissima di Pedro Sanchez può arrivare solo dopo che Ribera avrà chiarito, nel Parlamento iberico, di non essere coinvolta nel disastro di Valencia. Appuntamento che è calendarizzato per il prossimo 20 novembre: un’eternità, in un clima da lunghi coltelli. Ma se la Ribera traballa, non va meglio per Fitto. In un gioco di specchi tra vittime e carnefici, i socialisti sembrano aver messo un punto sul candidato di Giorgia Meloni.
«Non lo voteremo in nessun caso, la fiducia è rotta. Il pacchetto per noi è di cinque vice presidenti, il Ppe lo voti con l’estrema destra», hanno sottolineato fonti del gruppo S&D. All’interno del gruppo anche le posizioni dei dem, sulla scia dello scontro continuo da un lato con il Ppe e dall’altro con la premier italiana, si sono irrigidite. Innescando nuovamente l’ira di Meloni: «Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein.
L’Italia, secondo loro, non meritava di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra», ha ruggito via X la presidente del Consiglio. «Basta favole, nel 2019 eri contro la nomina di Gentiloni a commissario europeo e organizzavi addirittura una protesta davanti a Palazzo Chigi», ha replicato il dem Dario Nardella. Mentre Schlein ha proseguito con la linea del silenzio, sostenendo che Meloni, attaccando su Fitto, vuole distrarre l’attenzione dalla manovra. A tarda sera, sull’Eurocamera, è scesa una coltre di incertezza. Con un punto fermo, però. La palla ora è nel campo di von der Leyen.
Lo sostengono i socialisti, lo argomentano i liberali, lo sussurra, con maliziosa discrezione, anche qualche popolare. A complicare il quadro ci sono le vicende politiche di Spagna e Germania. La prima alle prese con gli strascichi delle devastazioni di Valencia. La seconda prossima ad una tornata elettorale dove la Cdu è data per favorita e l’Spd si contenderà il secondo posto con l’estrema destra di Afd.
Non è un caso che l’accusa costante che da socialisti, liberali e Verdi viene fatta a Weber sia quella di voler fare asse con le estreme destre. Solo che, con la Germania al voto e l’uragano Trump in arrivo, per Weber il gioco si complica. Ma a farne le spese potrebbe essere la presidente della Commissione. La numero uno dell’esecutivo europeo probabilmente sarà costretta ad un giro di colloqui con le capitali. Provando a scongiurare così l’ombra più nera, quella delle dimissioni.
Il premier Giorgia Meloni ha reagito con fermezza alla notizia, esprimendo il suo disappunto attraverso un post sui social media. La sua affermazione che “L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione” evidenzia un sentimento di frustrazione nei confronti della rappresentanza italiana all’interno delle istituzioni europee. Meloni ha sottolineato come questa decisione sia il riflesso di una visione politica che non tiene conto delle esigenze e delle aspirazioni del nostro paese.
La mancata nomina di Fitto potrebbe avere ripercussioni significative sulle relazioni tra Italia e Unione Europea. In un momento in cui il nostro paese si trova ad affrontare sfide economiche e sociali, avere un alleato forte all’interno della Commissione sarebbe stato cruciale. Inoltre, questa situazione potrebbe alimentare ulteriormente le tensioni tra il governo italiano e le istituzioni europee, complicando ulteriormente il dialogo su temi fondamentali come la gestione dei migranti e le politiche economiche.
All’interno di questo contesto, è interessante osservare come i vari partiti politici italiani stiano reagendo. Le forze di sinistra, in particolare, sono state criticate da Meloni per la loro presunta incapacità di sostenere gli interessi italiani a Bruxelles. Tuttavia, anche all’interno della destra ci sono voci che chiedono una riflessione più profonda su come l’Italia possa rafforzare la sua posizione all’interno dell’Unione Europea. La questione della rappresentanza italiana è diventata quindi un tema centrale nel dibattito politico, con ripercussioni che potrebbero influenzare le prossime elezioni e le strategie future dei partiti.
La recente esclusione di Raffaele Fitto dalla vicepresidenza della Commissione europea ha suscitato un acceso dibattito all’interno della scena politica italiana. Questo episodio non è solo un semplice fatto di cronaca, ma rappresenta un momento cruciale per l’Italia nel contesto europeo. La Commissione europea, infatti, gioca un ruolo fondamentale nella definizione delle politiche comunitarie e la presenza di un rappresentante italiano in una posizione di rilievo sarebbe stata un’opportunità significativa per il nostro paese.
A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischiava di non esserci più, vista la possibilità che restava seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont.
A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non avrebbero votato Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera. E il baratro, per la der Leyen non è più un’ipotesi, visto il gioco dei veti incrociati che, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti.
Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto, ma l’incontro non è servito a nulla e tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Ribera, come noto, è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna.
‘’Quello che sta facendo il Pd è vergognoso e sconcertante”: dice Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei Conservatori, di cui Fratelli d’Italia è parte. Prima avevano detto che avrebbero giudicato Fitto sulla base della sua audizione, il che è anche legittimo. Fitto è stato bravissimo, come era logico che fosse essendo stato per anni a Bruxelles proprio nella commissione che lo valutava, avendo esperienza, capacità, carattere. E allora ecco che arriva la richiesta affinché non sia vicepresidente esecutivo, alla quale si sono accodati i socialisti europei. È una posizione di una gravità enorme. Nemmeno gli spagnoli del Ppe sono arrivati a chiedere di non avere una vicepresidenza, hanno solo detto che la Ribera è inadeguata, dopo i fatti di Valencia”.
A Paola Di Caro del Corriere che chiede: come mai avete votato contro von der Leyen e ora voterete a favore? “Sono due voti diversi – spiega Procaccini – Quello di tre mesi fa era sul programma politico di von der Leyen, al quale eravamo contrari per eccessivo appiattimento rispetto al mandato precedente. A fine novembre si voterà la commissione nella sua composizione, compreso il commissario italiano. D’altra parte, è un fatto incontrovertibile che il Parlamento europeo sia più spostato a destra rispetto alla legislatura precedente. Comunque le istituzioni europee sono indipendenti tra loro, e noi siamo stati favorevoli a tutti i commissari perché rispettiamo le prerogative degli Stati membri. Abbiamo avuto difficoltà a supportare solo la rappresentante belga perché francamente inadeguata. Per il resto, ogni governo in Consiglio europeo esprime un proprio candidato, quella è la regola”.
Tutte le audizioni dei candidati sono state organizzate e le lettere di valutazione dovrebbero essere pubblicate il 21 novembre, mentre il Parlamento dovrebbe votare la Commissione nel suo complesso la settimana successiva. Ogni candidato ha bisogno del sostegno di almeno due terzi della commissione del Parlamento europeo, che conduce la relativa audizione di conferma. Ciò significa che la maggioranza dei gruppi politici deve sostenere ciascun commissario. Prima delle audizioni, tutti i gruppi politici del Parlamento avevano annunciato che le decisioni si sarebbero basate sulla sostanza delle risposte dei candidati. Tuttavia, non è stato del tutto così.
A due settimane dall’incoronazione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, la Commissione von der Leyen rischiava di non esserci più. La possibilità che restava seppellita dal prolungato stallo alla messicana intavolato da popolari, socialisti e liberali è concreta, ed è arrivata fino al Palais Berlaymont.
A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer. I socialisti non voteranno Raffaele Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera. E il baratro, per la der Leyen, non è più un’ipotesi dell’irrealtà. Il gioco dei veti incrociati, cominciato ad inizio settimana, è sfuggito di mano a tutti.
Lunedì sera i tre leader della maggioranza avevano deciso di aggirare temporaneamente l’ostacolo votando contestualmente i sei candidati vice presidenti: la popolare Henna Virkkunen, i liberali Kaja Kallas e Stephane Sejourné, le socialiste Ribera e Roxana Minzatu e il conservatore Fitto. Non è servito a nulla. Tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti. Nell’audizione all’Eurocamera, Ribera è stata duramente attaccata per le alluvioni in Spagna.
E la linea del Ppe si è mostrata in linea con quella del Partido Popular: il sì alla fedelissima di Pedro Sanchez può arrivare solo dopo che Ribera avrà chiarito, nel Parlamento iberico, di non essere coinvolta nel disastro di Valencia. Appuntamento che è calendarizzato per il prossimo 20 novembre: un’eternità, in un clima da lunghi coltelli. Ma se la Ribera traballa, non va meglio per Fitto. In un gioco di specchi tra vittime e carnefici, i socialisti sembrano aver messo un punto sul candidato di Giorgia Meloni.
«Non lo voteremo in nessun caso, la fiducia è rotta. Il pacchetto per noi è di cinque vice presidenti, il Ppe lo voti con l’estrema destra», hanno sottolineato fonti del gruppo S&D. All’interno del gruppo anche le posizioni dei dem, sulla scia dello scontro continuo da un lato con il Ppe e dall’altro con la premier italiana, si sono irrigidite. Innescando nuovamente l’ira di Meloni: «Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein.
L’Italia, secondo loro, non meritava di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra», ha ruggito via X la presidente del Consiglio. «Basta favole, nel 2019 eri contro la nomina di Gentiloni a commissario europeo e organizzavi addirittura una protesta davanti a Palazzo Chigi», ha replicato il dem Dario Nardella. Mentre Schlein ha proseguito con la linea del silenzio, sostenendo che Meloni, attaccando su Fitto, vuole distrarre l’attenzione dalla manovra. A tarda sera, sull’Eurocamera, è scesa una coltre di incertezza. Con un punto fermo, però. La palla ora è nel campo di von der Leyen.
Lo sostengono i socialisti, lo argomentano i liberali, lo sussurra, con maliziosa discrezione, anche qualche popolare. A complicare il quadro ci sono le vicende politiche di Spagna e Germania. La prima alle prese con gli strascichi delle devastazioni di Valencia. La seconda prossima ad una tornata elettorale dove la Cdu è data per favorita e l’Spd si contenderà il secondo posto con l’estrema destra di Afd.
Non è un caso che l’accusa costante che da socialisti, liberali e Verdi viene fatta a Weber sia quella di voler fare asse con le estreme destre. Solo che, con la Germania al voto e l’uragano Trump in arrivo, per Weber il gioco si complica. Ma a farne le spese potrebbe essere la presidente della Commissione. La numero uno dell’esecutivo europeo probabilmente sarà costretta ad un giro di colloqui con le capitali. Provando a scongiurare così l’ombra più nera, quella delle dimissioni.
Il premier Giorgia Meloni ha reagito con fermezza alla notizia, esprimendo il suo disappunto attraverso un post sui social media. La sua affermazione che “L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione” evidenzia un sentimento di frustrazione nei confronti della rappresentanza italiana all’interno delle istituzioni europee. Meloni ha sottolineato come questa decisione sia il riflesso di una visione politica che non tiene conto delle esigenze e delle aspirazioni del nostro paese.
La mancata nomina di Fitto potrebbe avere ripercussioni significative sulle relazioni tra Italia e Unione Europea. In un momento in cui il nostro paese si trova ad affrontare sfide economiche e sociali, avere un alleato forte all’interno della Commissione sarebbe stato cruciale. Inoltre, questa situazione potrebbe alimentare ulteriormente le tensioni tra il governo italiano e le istituzioni europee, complicando ulteriormente il dialogo su temi fondamentali come la gestione dei migranti e le politiche economiche.
All’interno di questo contesto, è interessante osservare come i vari partiti politici italiani stiano reagendo. Le forze di sinistra, in particolare, sono state criticate da Meloni per la loro presunta incapacità di sostenere gli interessi italiani a Bruxelles. Tuttavia, anche all’interno della destra ci sono voci che chiedono una riflessione più profonda su come l’Italia possa rafforzare la sua posizione all’interno dell’Unione Europea. La questione della rappresentanza italiana è diventata quindi un tema centrale nel dibattito politico, con ripercussioni che potrebbero influenzare le prossime elezioni e le strategie future dei partiti.