Essere infermiere di pronto soccorso non è solo una questione di competenza tecnica; è una sfida quotidiana che richiede dedizione, resilienza e una costante capacità di empatia. Ogni giorno, questi professionisti lavorano in ambienti caratterizzati da turni estenuanti, ritmi serrati e tensioni elevate, dove devono affrontare non solo le situazioni di emergenza, ma anche le implicazioni psicologiche e umane degli utenti e delle loro famiglie. Finire il turno puntualmente è spesso impossibile, per la difficoltà di essere sostituiti per mancanza di personale o per l’arrivo di casi complessi che richiedono una presa in carico immediata. L’ambiente di lavoro per questi professionisti è segnato anche da significativi rischi personali. Si stima che l’82% degli infermieri, di cui il 70% con esperienza lavorativa 5-20 anni nel dipartimento d’emergenza, ha subito violenza verbale. Nello specifico, è stata riscontrata un’elevata percentuale, pari al 65%, di episodi di violenza dopo un tempo di contatto con il paziente di almeno 6-8 ore.
Gli infermieri di pronto soccorso, quindi, si trovano sempre più spesso esposti a episodi di aggressione da parte di pazienti o accompagnatori esasperati, che sfogano su di loro la frustrazione legata alla lunga attesa o alle condizioni di emergenza e/o di gravità del proprio caro. In aggiunta, i reparti di pronto soccorso sono spesso teatro di furti nei locali riservati al personale, aggravando il senso di vulnerabilità di chi vi lavora. Questi fattori di stress contribuiscono a rendere l’ambiente lavorativo ancora più difficile e logorante.
Il ruolo dell’infermiere di pronto soccorso richiede una formazione specifica in quanto è il professionista responsabile del triage quindi di assegnare un codice colore al paziente che si presenta che definisce lo stato di gravità.
Quando poi l’accoglienza riguarda una donna che ha subito violenza, la complessità della sfida aumenta ulteriormente. Per legge, l’accoglienza deve essere garantita da un’infermiera donna, incaricata di seguire un protocollo rigoroso, in cui la sensibilità e la competenza devono integrarsi. Tuttavia, il tempo e l’attenzione necessari per completare questo percorso hanno un impatto diretto sulla capacità operativa dell’unità di pronto soccorso: l’infermiera che inizia l’accoglienza non può essere sostituita finché non ha concluso la procedura, lasciando inevitabilmente il reparto con una risorsa in meno e aumentando il carico di lavoro per le colleghe. Inoltre, se l’infermiera è di fine turno, è obbligata a rimanere fino alla conclusione di tutto il protocollo, sacrificando la possibilità di staccare dall’orario previsto e impegnandosi in un’assistenza continua e delicata.