È dal 2016 che, in Italia, viene riconosciuto lo status giuridico di Società Benefit a tutte le attività economiche impegnate a migliorare la società, ciascuna a proprio modo. Nel testo si legge: “ le Società Benefit perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, territori, comunità ed ambiente”. Associano il guadagno di pochi al beneficio di molti, in un modello di business che sembra mettere d’accordo tutte le generazioni, o almeno in apparenza.
Alle attività che, come richiesto nella legge, indicano, nell’oggetto sociale, il beneficio comune perseguito; individuano un “Responsabile del perseguimento del beneficio comune”; redigono e pubblicano report annuali sul proprio impegno sociale, sono concesse alcune agevolazioni fiscali. Chiaramente, non devono sobbarcarsi dei costi di trasformazione o creazione di una Società Benefit, né preoccuparsi di pagare i consulenti o di gestire le spese notarili di registrazione. Ad attività avviata, inoltre, se il 70% dei profitti viene utilizzato per scopi di utilità sociale, possono beneficiare di uno sconto del 19% sull’IRES. Tutto questo senza tenere in considerazione il guadagno in reputazione che deriva dal riconoscimento giuridico di Società Benefit.
Ad oggi, infatti, ne esistono 3619 su tutto il territorio italiano, ma solo il 12% di queste aziende si occupa di problematiche ambientali. I dati vengono dalla “ricerca nazionale sulle Società Benefit 2024”, realizzata grazie all’intelligenza artificiale, alla quale è stato chiesto di analizzare gli statuti di 3197 Società Benefit. Tra gli obiettivi più frequenti, appaiono: “relazioni con la comunità” (28,2%); “coinvolgimento, diversità e inclusione delle persone” (14,7%); “diffusione del modello benefit” (10,4%); “resilienza del modello business” (8,2%) e, soltanto al quinto posto, “progettazione del prodotto e ciclo di vita” (8,2%), uno dei tanti obiettivi di beneficio comune relativi alla sostenibilità ambientale. Si aggiungono, all’ottavo posto, “approvvigionamento ed efficienza nell’uso dei materiali” (2,4%) ed al nono “impatti ecologici” (2,4%).
Per quanto “resilienza del modello business” faccia anche riferimento alla capacità che ha l’azienda di adattarsi alla transizione ecologica, nella top cinque degli obiettivi più frequenti negli statuti, l’ambiente appare dal quinto posto in giù. L’impatto è forse troppo complicato da gestire, ma un impegno più concreto rispecchierebbe a pieno quella che è la priorità assoluta di questa epoca: sostenibilità, sociale ed ambientale, per accorciare le distanze e collaborare, come si può, per un futuro migliore.