Sport come contrasto alla discriminazione

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La Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha nominato un Relatore speciale sulla violenza contro le donne, comprese le sue cause e conseguenze, il 4 marzo 1994 (risoluzione 1994/45 ). Da marzo 2006, il Relatore speciale riferisce al Consiglio per i diritti umani, come da decisione 1/102 del Consiglio per i diritti umani. Il mandato è stato rinnovato più di recente nel 2022 dalla risoluzione 50/7 .Un recente rapporto delle Nazioni Unite, redatto da Reem Alsalem, relatrice speciale sulla violenza contro le donne e le ragazze, esorta a mantenere gli sport femminili “esclusivi per le donne” in risposta alla crescente presenza di atleti transgender nelle competizioni femminili. Il documento solleva preoccupazioni riguardo all’equità e alla sicurezza delle donne nello sport e propone raccomandazioni per salvaguardare i diritti delle atlete biologicamente femmine.Nel rapporto, Alsalem evidenzia come la partecipazione di uomini che si identificano come donne abbia portato a risultati sproporzionati: circa 890 medaglie sarebbero state vinte da atleti transgender, escludendo oltre 600 atlete in 29 discipline sportive. Questa situazione, secondo l’autrice, ha sollevato dubbi sulla giustizia delle competizioni femminili e sulla protezione dei diritti delle donne nello sport.In alcune aree, donne e ragazze sono escluse dalla pratica sportiva in base al loro sesso. Questa realtà è stata particolarmente evidente in Afghanistan dall’agosto 2021, con le atlete che si sono nascoste e non sono state in grado di continuare ad allenarsi.Secondo la Women’s Sports Foundation, le ragazze hanno 1,5 volte più probabilità dei ragazzi di abbandonare lo sport entro i 14 anni, spesso a causa della mancanza di accesso a risorse e opportunità pr lo sviluppo delle competenze.La violenza psicologica comprende abusi verbali, atti fisici indiretti, negazione di attenzione e supporto, body shaming, esclusione sociale, bullismo e commenti denigratori sullo sviluppo fisico, l’orientamento sessuale o l’identità di genere delle donne.La consapevolezza delle atlete di poter competere contro uomini inclusi negli sport femminili, compresi uomini che si identificano come donne o uomini con specifiche differenze XY nello sviluppo sessuale, causa un estremo disagio psicologico dovuto allo svantaggio fisico, alla perdita di opportunità di competizione leale e di opportunità educative ed economiche e alla violazione della loro privacy negli spogliatoi e in altri spazi intimi.Tra le raccomandazioni principali del rapporto, emerge la necessità di riservare le competizioni femminili alle donne biologiche, per garantire “sicurezza e equità”. Il rapporto afferma chiaramente che le categorie sportive femminili dovrebbero essere “accessibili esclusivamente alle persone il cui sesso biologico è femminile”. Nella relazione si sottolinea l’importanza di proteggere lo spazio competitivo delle donne e delle ragazze, preservandone i diritti conquistati attraverso decenni di lotte per l’uguaglianza di genere.Una proposta interessante del rapporto riguarda i metodi per determinare il sesso di un atleta nei casi in cui vi siano dubbi. Viene suggerito un approccio “dignitoso, rapido, non invasivo e accurato”, come l’uso di un tampone della guancia o, in casi eccezionali, di test genetici. Inoltre, nei contesti sportivi non professionistici, la relatrice suggerisce che si potrebbe ricorrere alla verifica del certificato di nascita originale.Il rapporto pone inoltre particolare attenzione sulla protezione della privacy delle donne, citando il diritto internazionale che garantisce il diritto alla privacy negli spogliatoi e in altri spazi sportivi intimi. Alsalem sottolinea che la presenza di atlete transgender potrebbe compromettere tale diritto, violando l’Articolo 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, il quale afferma che nessuno deve essere sottoposto a interferenze arbitrarie o illecite nella propria vita privata.Secondo il diritto internazionale, anche le donne e le ragazze hanno diritto alla privacy, che verrebbe violato imponendo spazi misti negli spogliatoi sportivi e in altre strutture intime. Le donne e le ragazze nello sport sono sproporzionatamente soggette a minacce ostili e violente, molestie e comportamenti abusivi negli spazi virtuali, tra cui abusi di natura sessuale, razzismo, incitamento all’odio, scherno e accuse per la mancata vittoria delle competizioni.Pur insistendo sulla necessità di proteggere le categorie femminili, la relatrice riconosce i diritti delle persone transgender, affermando che non dovrebbero essere escluse dallo sport in generale. Tuttavia, la relatrice ribadisce che tali diritti non devono prevalere su quelli delle donne, né imporre la loro presenza in spazi riservati esclusivamente alle atlete biologicamente femmine.Secondo il Comitato consultivo del Consiglio per i diritti umani, “lo sport è un mezzo importante per promuovere e rafforzare il rispetto universale dei diritti umani che deve essere utilizzato per combattere tutte le forme di discriminazione e più in generale l’esclusione sociale, la violenza, la disuguaglianza, il razzismo e la xenofobia”. In conclusione, il rapporto invita a bilanciare i diritti degli atleti transgender con la tutela delle donne e delle ragazze, suggerendo che queste ultime non dovrebbero essere penalizzate o private del loro spazio sportivo a causa delle decisioni riguardanti l’inclusione degli atleti transgender.

Paolo Iafrate

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