Su quali basi nasce l’unione Trump-Musk, fuori da guerre anti-woke, complottismi e interessi comuni? Musk non è mai stato un repubblicano vero, fortemente deluso dei quattro anni alla Casa Bianca del ‘palazzinaro newyorkese’

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Trump aveva preparato una campagna elettorale diversa, una corsa su un candidato debole e anziano, Biden, nella quale lui era quello lucido. Adesso con una candidata donna, di 20 anni più giovane di lui, la musica è cambiata, ma non sembra che Trump e il suo comitato elettorale siano in grado di dare quella svolta necessaria. Un aiuto per uscire dal pantano elettorale in cui è finito il tycoon è arrivato non da assistenti interni al suo staff, ma da un alleato che da settimane lo supporta nella lotta contro i dem: Elon Musk.

Nel corso di una lunga chiacchierata su Spaces, il luogo di X deputato alle chat vocali, l’imprenditore delle auto elettriche ha chiacchierato con Trump dandogli una grande vetrina. Secondo alcune stime, a seguire l’evento in diretta – dopo una falsa partenza per problemi tecnici – sarebbero state 1,3 milioni di persone, ma fonti della piattaforma dicono che quel numero dovrebbe passare a 16. E, potenzialmente, gli estratti dell’intervista dovrebbero raggiungere fino a 100 milioni di persone. Si vedrà, ma quel che è certo è che per 24 ore i media americani sono tornati a parlare di Trump. Come ha notato Semafor, moltissimi repubblicani hanno tirato un sospiro di sollievo nel vedere che durante l’incontro si sia parlato più contenuti che di strampalate invettive complottiste.

Musk nel giro di due ore è diventato non solo l’uomo capace dare un palcoscenico a Trump, ma di essere una figura in grado di imprimere una sua personale traiettoria alla campagna repubblicana, in un intricato rapporto fatto di comune ideologia, complottismo e mutuo interesse. Eppure Musk non è mai stato un repubblicano vero. Nel 2020 aveva appoggiato la candidatura di Biden, e in passato era stato critico con l’amministrazione Trump. Si era opposto alla decisione di lasciare gli accordi di Parigi sul clima, e spesso si è detto deluso dai quattro anni alla Casa Bianca del “palazzinaro” newyorkese.  Con l’amministrazione Biden qualcosa è mutato. La Sec (la Consob americana) ha aperto un’indagine sull’acquisizione di Twitter, il dipartimento di Giustizia ha avviato una serie di indagini sul marketing di Tesla, e la National Highway Traffic Safety Administration ha annunciato un richiamo di massa di auto. Poi la partita si è spostata su aspetti più personali. Biden ha apertamente ridicolizzato le capacità imprenditoriali di Musk con una battuta, dicendo cioè che per far fallire la Npr (la radio pubblica nazionale) sarebbe bastato che Musk l’acquistasse. Il vero momento di rottura sarebbe arrivato nel 2021. Per avviare il suo vasto progetto di elettrificazione del trasporto americano, il presidente ha invitato alla Casa Bianca le principali case automobilistiche del Paese: Ford, General Motors, Stellantis, ma non Tesla. All’incontro era presente anche la United Auto Workers, il potente sindacato dei lavoratori dell’auto. Un ex funzionario dell’amministrazione dem ha detto che la scelta era legata al fatto che Biden voleva confermare la sua reputazione di essere pro-lavoratori e pro-sindacato. Tesla, al contrario, è l’unico produttore di auto non sindacalizzato. Uno sgarbo che ha tolto gli ultimi freni a Musk. Nel giro di tre anni il patron di Tesla si è quindi avvicinato al mondo “Maga” (Make America great again) e a Trump. E lo ha fatto in una spirale composta da dichiarazioni contraddittorie, appoggio finanziario e vicinanza ideologica alla galassia della destra radicale. Musk, allo stesso tempo, è diventato il paladino del libero pensiero, almeno per la destra, con l’acquisto di X e lo smantellamento di tutte le policy aziendali in materia di moderazione dei contenuti. Ma, al di là di questi elementi di facciata, sotto c’è molto di più. Intanto il sostegno economico. A maggio 2024 Musk ha fondato l’America Pac, un comitato per la raccolta fondi a supporto di un candidato, ottenendo fin da subito da una decina di milioni di dollari. E promettendo, secondo il Wall Street Journal, di versarne 45 al mese nel periodo della campagna elettorale. Anche se poi quella cifra monstre è stata smentita dallo stesso Musk. Un collaboratore di Musk sentito dal Washington Post ha raccontato anche che Elon si è impegnato in prima persona facendo attività di lobbying per fare in modo che JD Vance venisse scelto come candidato alla vicepresidenza. Questo punto non è banale, perché si inserisce nell’intreccio tra la nuova destra americana e un pezzo della Silicon Valley. Musk è uno degli esponenti di spicco di quella che nei primi Anni 2000 era stata definita PayPal Mafia, una cricca di personaggi che ha mosso i primi passi nel mondo delle startup con la creazione, appunto, di PayPal. Oltre a Musk, all’interno di questo gruppo era presente anche Peter Thiel, il magnate per cui JD Vance ha lavorato e che poi ha finanziato la campagna elettorale da senatore dello scrittore di Elegia Americana. Pochi giorni fa il volo che trasportava il senatore JD Vance, candidato alla vicepresidenza accanto a Donald Trump per le elezioni presidenziali del 2024, ha dovuto effettuare un atterraggio d’emergenza a Milwaukee poco dopo il decollo. L’aereo, un Boeing 737, ha dichiarato un’emergenza a causa di un problema alla guarnizione del portello, costringendo il pilota a invertire la rotta e tornare all’aeroporto di Milwaukee per le necessarie riparazioni. Il portavoce della campagna elettorale di Trump, Taylor Van Kirk, ha confermato l’accaduto in un comunicato diffuso in serata.   Fortunatamente, l’emergenza si è risolta senza ulteriori complicazioni. Una volta riparato il velivolo, il volo ha potuto riprendere regolarmente il suo percorso verso Cincinnati, dove JD Vance risiede. A bordo del charter, oltre al senatore, erano presenti la moglie, alcuni membri dello staff della campagna elettorale e un gruppo di giornalisti che seguono il tour elettorale.JD Vance si trovava a Milwaukee per partecipare a un evento organizzato dall’associazione di polizia della città, un incontro strategico nell’ambito della campagna elettorale. JD Vance, a soli 39 anni, rappresenta una delle figure emergenti più significative del Partito Repubblicano nell’era Trump. Con un forte orientamento populista e una visione politica in linea con il movimento Maga, come riportato da Il Sole24 ore, Vance è diventato rapidamente una figura centrale nella nuova destra americana.La sua candidatura alla vicepresidenza lo rende il primo millennial a partecipare a un ticket presidenziale nella storia degli Stati Uniti. Vance, autore del libro di successo Hillbilly Elegy, ha costruito la sua immagine pubblica come un uomo che comprende e rappresenta l’America profonda, ovvero quella delle classi lavoratrici e delle comunità rurali spesso dimenticate dalla politica tradizionale. Questo lo ha reso particolarmente popolare tra gli elettori del Tycoon, che vedono in lui un erede naturale del magnate newyorkese.

Ma la svolta trumpiana di Musk ha anche dei risvolti ideologici. Il primo è collegato con l’immigrazione. Non è un caso che durante la loro chiacchierata su X Trump sia tornato sulla questione del muro col Messico, ribadendo  che 60 milioni di persone potrebbero entrare nel Paese se lui perdesse le elezioni di novembre, rilanciando poi la proposta di un’espulsione di massa. Musk da tempo attacca al politica migratoria dei dem. A inizio anno, durante un incontro tra i finanziatori del partito repubblicano, Elon ha sottolineato che i milioni di immigrati illegali che attraversano il confine meridionale verrebbero fermati da Trump, ma soprattutto che se questo flusso non venisse stoppato, il loro arrivo creerebbe uno scossone demografico, con conseguente apporto di potenziali elettori dem, tale da minacciare tutte le future elezioni per il partito repubblicano. A inizio agosto, commentando gli scontri nel Regno Unito ha parlato di «guerra civile» inevitabile dovuta all’immigrazione. Musica per le orecchie dei trumpiani, ma anche esternazioni abbastanza in linea con il comune sentire del Paese. L’immigrazione, infatti, è uno dei tempi più sensibili per gli elettori e quello su cui il Gop può attaccare la Casa Bianca e Harris.

C’è però un altro fattore che lega Musk al Gop trumpizzato: le guerre culturali. Da tempo il tycoon ha ingaggiato un braccio di ferro con il cosiddetto “mondo woke”, quel pezzo della sinistra ultra liberal, che fra l’altro è minoritario nel Paese, su temi come la libertà di espressione e la difesa dei diritti Lgbtq+. Su questo ultimo punto Musk è molto attivo perché toccato sul piano personale. Qualche settimana fa il magnate, parlando della figlia transgender Vivian Jenna Wilson (che ha rinnegato il padre nel 2022), ha detto che la sua bimba è stata «uccisa dal virus mentale del pensiero woke». Una crociata espressa anche tramite le sue aziende, con Tesla spostata dal paradiso woke della California al bastione conservatore,  e con tasse più basse, del Texas.

Nel breve giro di tre-quattro anni Musk ha quindi completato una trasformazione nel trumpiano perfetto. Ha fatto retromarcia su temi come il cambiamento climatico (deresponsabilizzando l’industria fossile), sull’incapacità di governare di Trump (nel 2016 diceva che non aveva il carattere giusto) e ridato alla destra radicale una piattaforma per esprimersi senza freni.

Un terreno ideale per il mutuo interesse tra i due. Dal punto di vista di Musk una seconda amministrazione Trump sarebbe molto utile. Potrebbero arrivare norme meno stringenti in materia di veicoli a guida autonoma. Un dipartimento della Giustizia trumpiano alleggerirebbe il controllo federale su tutte le imprese di Musk, inclusa X, e aiuterebbe nei casi di accuse di molestie all’interno di SpaceX. E poi potrebbero arrivare commesse e soldi dal governo, in particolare per le attività spaziali di Starlink e SpaceX, magari ai danni della Blue Origin di Jeff Bezos.

Per ottenere tutto questo Musk si sta costruendo una figura di consulente fidato. E la chiacchierata su X va in questa direzione, facendo leva sulla possibilità di impressionare Trump. Oltre a mettere in mostra le sue aziende, il capo di Tesla ha anche ammiccato a un possibile ruolo nell’amministrazione repubblicana, magari come collaboratore esterno per ridurre il peso della macchina amministrativo. Una proposta accolta con piacere da Trump, che si è detto contento di poter coinvolgere un multi-miliardario «capace di ridurre i costi».

Come ha sottolineato Politico, Musk avrebbe un peso anche nel convincere Trump sul tema del cambiamento climatico. Durante l’intervista da un lato ha ridimensionato la minaccia del collasso climatico e dall’altro ha difeso l’uso dei veicoli elettrici (per ovvi motivi di interesse personale). Musk potrebbe dunque giocare un ruolo nel futuro approccio di Trump sul tema del climate change. Magari limitando le uscite negazioniste e trovando una chiave comunicativa per ridimensionare la questione. Un modo per difendere anche una delle sue aziende più redditizie, Tesla.

Musk è uno strumento molto utile per The Donald. Lo aiuta a rimpossessarsi della scena elettorale a discapito dei dem, gli dà supporto economico, ma soprattutto alimenta la sua macchina ideologica. Nel 2016 Twitter è stato uno dei pilastri dell’ascesa trumpiana, uno strumento fondamentale per scardinare il monopolio dei media tradizionali e un’arma con cui il tycoon ha dettato l’agenda dei media. Oggi X svolge un ruolo leggermente diverso. Sotto la “cura” Musk è diventato un luogo in cui proliferano teorie del complotto, rabbia e ogni sorta di sottocultura che non trova spazio nei giornali. Un ambiente perfetto per creare una realtà parallela che alimenta le frustrazioni di milioni di americani che compongono il popolo “Maga”.

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