La riforma del numero chiuso per l’accesso a Medicina è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi tempi. Tra critiche e speranze, il progetto di un sistema più aperto divide studenti e accademici. Abbiamo parlato con Antonio Infante, studente al quarto anno di Medicina e rappresentante nel Consiglio degli studenti di Roma Tor Vergata, per capire le preoccupazioni degli studenti e il loro punto di vista sulla riforma.
Infante, quali sono le sue considerazioni sulla proposta di aprire l’accesso a Medicina e basare la selezione sugli esami del primo semestre?
“La proposta desta forti preoccupazioni. Se prendiamo come esempio la Francia, lì gli studenti, dopo un primo periodo, devono affrontare due test di sbarramento a crocette che decidono chi potrà proseguire il percorso. Questo sistema porta a una selezione molto rigida, che crea un ambiente eccessivamente competitivo. Gli studenti francesi si trovano a dover competere costantemente tra loro per superare queste prove. Se questo modello venisse introdotto anche in Italia, vedremmo un simile livello di ipercompetitività. Gli esami del primo semestre diventerebbero una gara, non solo per dimostrare la propria preparazione, ma anche per garantirsi un posto nel corso, alimentando così una competizione continua. Il test d’ingresso a crocette, pur con i suoi limiti, almeno lasciava la percezione che tutti avessero una possibilità equa.”
Non pensa che l’ipercompetitività possa influire negativamente sull’ambiente di studio?
“Esattamente. Il test di ingresso, per quanto criticabile, rappresentava un unico sbarramento, superato il quale ci si sentiva parte di un percorso comune. Con questa riforma, invece, la selezione continua rischia di creare un ambiente in cui gli studenti vedono i propri colleghi come avversari, generando un clima di tensione. Ogni esame diventerà un banco di prova per la propria permanenza nel corso, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta in termini di collaborazione e solidarietà tra colleghi.”
L’ipercompetitività tra studenti rischia di trasformarsi, una volta laureati, in una mancanza di spirito di squadra tra i colleghi medici?
“Sì, è un possibile rischio. Durante il primo semestre, se sei costantemente in competizione con i tuoi colleghi per ottenere i voti migliori e per rimanere nel corso, è probabile che questo atteggiamento comprometta tutto il percorso universitario. Si rischia di non entrare più in sintonia con i tuoi colleghi e con tutto l’ambiente universitario. La medicina è una professione che richiede un forte spirito di squadra, soprattutto quando si lavora in equipe mediche, dove il lavoro in team è essenziale per il benessere del paziente. Se questa competizione esasperata prosegue dopo l’Università, rischiamo di creare un ambiente di lavoro dove manca la cooperazione tra i medici. Questo può avere un impatto negativo sia sulla qualità del lavoro che sulla salute dei pazienti.”
Non pensa che questo tipo di selezione, oltre a creare una ‘competizione negativa’ tra gli studenti, possa avere un impatto negativo anche sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN)?
“Sì, questo è un punto cruciale. Lo sbarramento che si vuole introdurre in Italia non solo crea un ambiente ipercompetitivo tra gli studenti, ma rischia di non formare medici che siano realmente preparati a lavorare in un contesto come il SSN. La competizione esasperata durante gli studi porta gli studenti a concentrarsi su se stessi, sulla loro carriera personale, piuttosto che sul lavoro di squadra e sulla cooperazione, che sono essenziali nel contesto sanitario.”
Quali sono le possibili soluzioni per evitare che questa riforma abbia un impatto negativo sul SSN?
“Una soluzione potrebbe essere investire maggiormente nelle università e nelle strutture formative, senza puntare tutto sulla selezione. A noi studenti deve essere garantita la possibilità di avere un’istruzione adeguata e strumenti per eccellere e collaborare senza dover competere l’uno contro l’altro in modo distruttivo. Le riforme devono puntare su una formazione di qualità, che non sia solo basata su numeri e voti, ma anche su valori come la collaborazione e l’etica professionale.”
Quali misure possono aiutare a trattenere i medici in Italia e migliorare il sistema?
“Non possiamo dimenticare che molti medici italiani cercano opportunità all’estero, spesso a causa delle condizioni lavorative e della mancanza di incentivi. La detassazione delle specializzazioni mediche è un buon inizio, ma bisogna fare di più. Dobbiamo creare le condizioni per trattenere i medici nel nostro paese, e questo passa anche attraverso una formazione che promuova la collaborazione e l’appartenenza al sistema.”
Infante conclude riflettendo sull’importanza di bilanciare competizione e collaborazione. “Le riforme devono davvero incentivare la competizione o dovrebbero puntare su un sistema che promuova la crescita collettiva? Noi un giorno ci prenderemo cura dei nostri pazienti, ma qualcuno deve prendersi cura di noi,” afferma. “Le riforme non possono limitarsi a cambiare i criteri di accesso, ma devono investire nelle strutture e nelle persone. La medicina non può essere solo una competizione, ma deve restare una professione basata su valori come l’umanità e la cooperazione”.
Valentina Alvaro