Tutela delle vittime del caporalato e gestione dei flussi migratori: tra criticità e operatività

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Negli ultimi anni, l’Italia ha affrontato una crescente pressione dovuta ai flussi migratori e alla gestione dei lavoratori stranieri. Ebbene, nonostante la riduzione degli sbarchi (al 3 ottobre 2024 51.234), rispetto al 2023 (135.319) secondo di dati del Ministero dell’Interno, il Governo il 2 ottobre 2024 ha emanato un decreto-legge contenente disposizioni urgenti in materia di ingresso di lavoratori stranieri, tutela delle vittime di caporalato, gestione dei flussi migratori e protezione internazionale. 

Il decreto legge Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali (decreto-legge) sulle disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, gestione dei flussi migratori e protezione internazionale, modifica diversi aspetti della normativa in materia di immigrazione. Tra i principali obiettivi del provvedimento troviamo la regolamentazione dell’ingresso dei lavoratori stranieri, la protezione delle vittime di sfruttamento lavorativo e il miglioramento della gestione dei flussi migratori. Tuttavia, questo intervento normativo presenta diverse criticità, in particolare per quanto riguarda l’impatto sul diritto alla difesa, statuito dall’articolo 24 della Costituzione italiana e l’effettività della tutela giurisdizionale art.111 Cost. e dell’art 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che garantisce il diritto a un processo equo, inclusa la necessità che ogni individuo sia giudicato entro un termine ragionevole.

Il provvedimento in questione prevede delle norme volte a velocizzare i procedimenti giurisdizionali in materia di immigrazione, richiedendo decisioni rapide e imponendo termini processuali più stringenti. In particolare, si stabiliscono scadenze temporali molto ridotte per presentare ricorsi o per fornire prove nei procedimenti relativi alla protezione internazionale o all’espulsione. 

Infatti, dal Comunicato del Consiglio dei Ministri n. 98, risulta che il Capo IV del Decreto-legge che detta disposizioni processuali introduce il potere di impugnazione dei provvedimenti di trattenimento dello straniero adottati dalle sezioni specializzate innanzi alla Corte d’Appello attraverso lo strumento del reclamo,trattato in camera di consiglio e definito con decreto entro 60 giorni. 

Inoltre, il decreto legge adottato riduce da 14 a 7 giorni il termine per ricorrere al Tribunale della Sezione specializzata contro il provvedimento di trattenimento alla frontiera ai sensi dell’art. 6 bis del D.L. 142 del 2015, resta salva la possibilità per il ricorrentedi chiedere la sospensione del provvedimento impugnato.

Ebbene, se da un lato l’intenzione di accelerare i procedimenti può essere vista come un tentativo di ridurre i tempi di attesa e di migliorare l’efficienza del sistema, dall’altro lato la compressione eccessiva dei tempi nel caso della procedura accelerata potrebbe violare il diritto alla difesa degli interessati. 

Uno dei punti critici risiede proprio nell’imposizione di tempi irragionevoli per la presentazione di ricorsi. Il rischio è che, nonostante la tutela formale del diritto alla difesa, tale diritto venga “sterilizzato” da una previsione temporale che non permette una difesa effettiva e concreta. 

Tale situazione è particolarmente problematica per i migranti, che spesso affrontano barriere linguistiche, difficoltà economiche e un accesso limitato ai servizi legali. Di conseguenza, sebbene il diritto alla difesa esista formalmente, esso rischia di diventare inefficace nella sostanza, privando i soggetti coinvolti di una reale possibilità di difendersi adeguatamente.

La Corte Costituzionale italiana ha più volte sottolineato che la ragionevolezza dei tempi procedurali è un aspetto fondamentale per garantire l’effettività del diritto alla difesa. In diverse sentenze, la Corte ha affermato che i termini processuali devono essere congrui rispetto alla complessità della materia trattata, al fine di evitare che la rapidità del procedimento comprometta i diritti sostanziali delle parti. Pertanto, l’introduzione di termini troppo stringenti potrebbe essere oggetto di una valutazione critica da parte della Consulta.

Il decreto-legge sulle disposizioni urgenti in materia di immigrazione solleva dunque alcuni interrogativi sul bilanciamento tra l’efficienza dei procedimenti e il rispetto dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla difesa. Infatti, sebbene l’intenzione di accelerare i procedimenti possa rispondere a esigenze di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, è essenziale che questa procedura non comprometta i diritti inviolabili della persona.

Paolo Iafrate

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