L’università italiana è in fermento. Dopo mesi di mobilitazioni, appelli e proteste, il disegno di legge Bernini sulla riforma dei contratti di ricerca è stato sospeso. Una vittoria per i ricercatori precari e i sindacati, ma che lascia irrisolti i problemi strutturali del settore, a partire dalla cronica mancanza di fondi e dall’incertezza lavorativa che affligge migliaia di studiosi.
Un sistema precario: numeri e criticità. Attualmente, circa il 40% dei docenti e dei ricercatori universitari in Italia è precario, con contratti a termine che si estendono per anni prima di un’eventuale stabilizzazione. Con la fine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nel 2026, molti di questi contratti rischiano di non essere rinnovati, mettendo a rischio il futuro di interi settori della ricerca.
A fronte di questa situazione, il governo ha stanziato 37,5 milioni di euro per finanziare nuovi contratti di ricerca. Una cifra giudicata largamente insufficiente dai ricercatori, che chiedono almeno 200 milioni in più per garantire un piano straordinario di stabilizzazione e il turnover accademico.
Il DDL Bernini e le proteste del mondo accademico
La riforma proposta dalla Ministra dell’Università e della Ricerca, Annamaria Bernini, avrebbe introdotto nuove figure contrattuali, come le borse di assistenza alla ricerca junior e senior e il contratto post-doc. Tuttavia, queste misure sono state criticate perché ritenute una semplice riorganizzazione della precarietà, prolungando fino a quattordici anni l’incertezza lavorativa per i giovani ricercatori.
Le proteste hanno visto la partecipazione di associazioni di categoria, sindacati e oltre 400 persone riunite a Bologna l’8 e il 9 febbraio. La mobilitazione ha avuto un impatto concreto: l’esame della riforma è stato sospeso, con la Ministra costretta a rivedere le sue proposte.
Le richieste dei ricercatori: più fondi e stabilizzazioni. Se da un lato la sospensione del DDL Bernini rappresenta un risultato per il movimento dei ricercatori, dall’altro non risolve il problema del precariato accademico. Le richieste avanzate dai lavoratori della ricerca sono chiare:
un fondo nazionale di cofinanziamento per trasformare gli attuali contratti precari in contratti di ricerca stabili;
un piano straordinario di reclutamento per garantire stabilità e continuità nella ricerca;
un incremento dei finanziamenti pubblici all’università per allineare l’Italia agli standard europei.
Un futuro incerto per la ricerca italiana
Nonostante il passo indietro della Ministra Bernini, il governo non sembra intenzionato a destinare le risorse necessarie per affrontare la crisi del settore. A pesare sulle decisioni future saranno anche i tagli previsti dalla legge di bilancio, che rischiano di aggravare ulteriormente la situazione.
Le proteste, intanto, non si fermano. La comunità accademica chiede soluzioni concrete per garantire un futuro alla ricerca italiana e ai suoi lavoratori. La battaglia contro il precariato continua.
Valentina Alvaro