Mentre a Roma, al Viminale, si lavora, ormai da quattro giorni, alla relazione inviata dal prefetto del capoluogo pugliese, Franco Russo, sul “caso Bari”, dopo aver informato il comitato tecnico provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico e aver acquisito il parere obbligatorio, ma non vincolante, del procuratore capo della Repubblica, Roberto Rossi, si prospetta all’orizzonte l’ipotesi che una pesante scure possa abbattersi su alcune realtà partecipate e di proprietà del comune barese. Nei corridoi del Viminale, fatto salvo quanto deciderà in piena autonomia il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che relazionerà in Consiglio dei ministri su quanto emerso, si prospetta l’ipotesi di una serie di provvedimenti di interdizione antimafia della nomina di tutor anti corruzione per quelle realtà amministrative che sono finite al centro dell’attività ispettiva della commissione di accesso agli atti per verificare l’eventuale esistenza di possibili infiltrazioni o condizionamenti mafiosi all’interno della pubblica amministrazione barese. In buona sostanza, si tratterebbe dell’applicazione di misure straordinarie di gestione e sostegno alle aziende pubbliche baresi che con tutta probabilità rischiano di essere raggiunte da un provvedimento di informazione interdittiva antimafia. Alla luce di tutto ciò, nelle prossime settimane, potrebbero arrivare in Puglia, ai sensi della nuova normativa antimafia, i tutor anti corruzione che dovrebbero occuparsi in prima persona di quelle realtà amministrative di secondo livello, come municipalizzate e municipi, interdetti nella gestione ordinaria per l’alto rischio di infiltrazione mafiosa. In questo caso verrebbero fatte salve quasi tutte le prerogative dell’amministrazione comunale barese a eccezione di quelle che riguardano la gestione e la governance delle realtà periferiche direttamente collegate al comune. In questo caso si potrebbe parlare di un epilogo che ha dato ragione alle testi sostenute della procura della Repubblica di Bari che sin da subito, all’indomani dell’operazione “codice interno” dello scorso 27 febbraio, quando furono arrestate 137 persone con le accuse a vario titolo di associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso. In quella occasione, la stessa procura barese, nonostante la rubricazione dei capi di accusa, ci tenne a spiegare che l’amministrazione comunale nel suo complesso era estranea ad attività di connivenza o sudditanza rispetto al radicamento e alle attività di stampo mafiose poste in essere dalla criminalità organizzata anche all’interno di rami secondari dell’amministrazione pubblica locale. Dagli atti dell’inchiesta, che succedettero alle indagini svolte dagli uomini della squadra mobile della questura di Bari, emerse che un ruolo importante nell’azione deviata della pubblica amministrazione lo svolse l’avvocato Giacomo Olivieri, per due legislature in passato consigliere regionale della Puglia, la prima volta con Forza Italia e la seconda volta con l’Italia dei Valori e presidente, fino al 2015, della “Multiservizi” una delle società pubbliche baresi. Insieme a lui venne travolta dall’azione giudiziaria, anche, la moglie Maria Carmen Lorusso, all’epoca consigliera comunale eletta nel 2019 nelle liste del centro destra e, poi, qualche tempo dopo transitata nella maggioranza di centro sinistra a supporto dell’allora sindaco di Bari, Antonio Decaro, da giugno scorso non più sindaco ma europarlamentare e presidente della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo. Le indagini, corroborate da una meticolosa attività di riscontro di alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia e da approfonditi riscontri attraverso una complessa e lunga attività di intercettazioni ambientali e telefoniche fecero emergere un altro elemento inquietante di condizionamento mafioso del potente clan del quartiere “Japiagia” di Bari, dei Parisi, nei confronti dell’Amtab la società municipalizzata, totalmente di proprietà del comune, che gestisce la mobilità urbana su gomma e le aree di sosta. Secondo il teorema accusatorio l’azienda pubblica barese era soggiogata e sottostava ai voleri del clan Parisi che con la compiacenza e sudditanza di alcuni rami amministrativi dell’ente riusciva a imporre assunzioni, si pure a tempo determinato, di parenti, amici e sodali all’organizzazione malavitosa. Per questa ragione, su richiesta della procura barese, la terza sezione del tribunale di prevenzione decise di mettere l’azienda di viale Jacobini in amministrazione giudiziale. Situazione che, poi, determinò anche l’abbandono di due dei tre consiglieri di amministrazione in carica nominati dal comune di Bari per la gestione della società. Una decisione quella romana che gli addetti ai lavori sostengono possa arrivare tra poche settimane o al massimo qualche giorno prima di Natale.